24/9/2009
Mario Raffone alla Columbia University di New York di Antonio Tortora
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Proprio in queste ore si tiene un incontro espositivo sul tema: “Raffone in Naples” – The Last Days of Print Culture presso lo European Institute of Columbia University di New York. Si tratta di un evento voluto e curato dalla responsabile del Dipartimento di Storia dell’Ateneo statunitense nonché docente di Storia dell’Europa Victoria de Grazia, molto conosciuta in Europa e in Italia per i suoi libri “L’impero irresistibile: La società dei consumi americana”, “Le donne del regime fascista”, “Consenso e cultura di massa nell’Italia fascista” e insieme al docente di Storia Moderna all’Università di Torino Sergio Luzzatto il monumentale “Dizionario del Fascismo”. Le immagini che corredano la mostra sono di Nancy Goldring artista fotografa esperta nel “raccogliere immagini e frammenti di culture scomparse immerse nella realtà contemporanea” e profonda conoscitrice dell’arte e dell’architettura italiana.
In verità non avremmo voluto trattare quest’argomento, perché farlo significa snocciolare un’altra dolorosa sconfitta della nostra città e della classe politica che la governa. Tuttavia corre l’obbligo di raccontare della tipografia storica Stampa et Ars di Mario Raffone che per oltre un secolo ha prodotto piccoli e grandi capolavori su carte pregiate e con fini inchiostri in pieno centro cittadino, cambiando sede un paio di volte tra piazza Dante e via Costantinopoli, quest’ultima divenuta negli anni punto d’incontro della Napoli che pensa, legge, scrive, dipinge e che raccoglie e produce cultura. Da Benedetto Croce intento nelle sue ricerche a Roberto De Simone autore del pregevole “Il Segno di Virgilio” stampato proprio da Stampa et Ars, dai Nobili napoletani della Deputazione di San Gennaro con gli eleganti inviti-pergamene da inviare alle autorità per non far mancare nessuno al celebre miracolo che ogni mese di settembre si verifica nel Duomo al Duca Carlo di Borbone di Calabria che nel 2001 visitò personalmente la tipografia.
L’ ultimo stampatore della Real Casa borbonica delle Due Sucilie, dei Savoia e della nobiltà cittadina ha definitivamente chiuso ed è partito per gli Stati Uniti dove darà testimonianza della fine di un’epoca, quella di Gutenberg, dove spiegherà i sacrifici del padre e del nonno in un’epoca in cui il merito, la bellezza e il gusto rappresentavano valori indiscutibili; ma soprattutto spiegherà i suoi sacrifici individuali e familiari sopportati invano negli ultimi anni senza poter avere alcun aiuto e nessun tipo di approvazione da parte di coloro che avrebbero dovuto tutelare le specificità cittadine e il lavoro di qualità. Mario Raffone poteva insegnare l’arte tipografica ai giovani, poteva costituire un’associazione per la salvaguardia di un’arte che adesso è irrimediabilmente destinata a scomparire; per questo motivo nell’invitation universitaria si parla di The Last Days of Print Culture. Poteva fare molte cose, ma schiacciato dalla concorrenza tecnologica (tutti ormai possiedono e usano una stampante), dalla noncuranza colpevole dei governanti cittadini (tutti compresi fra sprechi e scandali), dalla crisi economica (che in città, non dimentichiamolo, ha fatto chiudere circa 700 aziende nel solo mese di settembre), e dallo scadere del gusto estetico, ha dovuto tenere duro e mostrare tutta la forza di carattere per reprimere la tristezza e volare negli Stati Uniti dove la prestigiosa Università sta mostrando ancora una volta stampe, libri, biglietti augurali, cataloghi aziendali, cartoline, materiale tecnico e carte speciali per il piacere dei ricercatori di cose belle, per gli studiosi e per gli estimatori del lavoro italiano e napoletano all’estero.
Eppure innumerevoli sono stati gli appelli lanciati attraverso i media, da quello del prof. Ezio Ghidini Citro presidente dell’Associazione Culturale Sebetia-ter a quello riportato sul Mattino dalla collega Paola Perez , nel 2001, in cui i Raffone venivano definiti “dinastia di rullo e inchiostro”. Parliamo di un “patrimonio culturale dell’intera città frutto di lavoro appassionato di tre generazioni” è scritto in uno degli appelli più forti lanciato in rete e su carta a Regione, Provincia, Comune, Camera di Commercio, Soprintendenza, intellettuali e Stampa. Nessuno ha risposto mostrandosi sordi, nessuno ha compreso mostrandosi inetti, nessuno ha voluto assumersi la responsabilità di ridare fiato a Mario Baffone e al suo collaboratore Bruno; bensì tutti i destinatari dell’appello hanno preferito lasciare che via Costantinopoli fosse più deserta, che le vetrinette laterali collocate ai due ingressi della tipografia Stampa et Ars, caratterizzati da due architravi e quattro pilastri lignei di colore verde, rimanessero vuote e senza le stampe, i campioni tipografici e le riproduzioni di splendide gouaches settecentesche. Passando per quella via non sarà più possibile sentire gli sbuffi di quella gloriosa e storica macchina da stampa tipografica dei primi anni del novecento ancora unica nella sua specie che è il torchio tipografico Original Heidelberg costruita in Germania nella omonima città, famosa in tutto il mondo per le sue produzioni meccaniche.
Con quel torchio tipografico, dal peso di sei tonnellate, Mario Raffone recentemente e suo padre poco dopo la metà del secolo scorso hanno stampato, con vera maestria e sapienza tipografica, su carte pregiate immagini talvolta più belle di quelle riprodotte in antiche stampe. Non a caso la macchina che ha un alimentatore che, quando funziona, pare un vero e proprio mulino a vento, è stata definita dagli addetti ai lavori ”principe delle presse” come ricorda Fred Williams Editore di “Type & Press”.
Ormai superata dai nuovi procedimenti di stampa, offset e digitale, è ancora in uso per particolari lavorazioni di precisione: cordonature, numerazione, punzonatura, rilievi, fustellature, perforature e rappresenta a tutti gli effetti l’evoluzione del torchio tipografico di Gutenberg. Ebbene Mario Raffone l’ha fatta smontare da una società specializzata e l’ha sottoposta a un nuovo processo di cromatura per restituirle dignità e valore estetico; andrà a finire in uno dei saloni della sede romana della Società Dante Alighieri dove, oltre che testimonianza museale di un’epoca che non c’è più, potrà periodicamente tornare a sbuffare, magari attivata dallo stesso maestro Raffone, a beneficio di studenti in materie artistiche e umanistiche oppure per produrre ancora una stampa di pregio per palati raffinati. Il momento dello smontaggio è stato ripreso dalle telecamere impietose del regista Lamberto Lambertini che, per l’occasione ha dovuto allestire un improvvisato set cinematografico in piena via Costantinopoli; si è trattato di immagini che potranno essere utilizzate, oltre che come testimonianza antropologica dell’evento, anche in uno dei cortometraggi che il regista partenopeo pensa di dedicare alla città; cosi come è accaduto per il fortunato corto “Queste cose visibili” in cui lo stesso Mario Raffone fece un breve intervento e il torchio tipografico Original Heidelberg funzionando e sbuffando a pieno ritmo servì da colonna sonora dell’opera. In quel caso la città di Napoli è stata raccontata attraverso le immagini dei luoghi simbolo della sua cultura e della sua storia e i racconti, pieni di pathos, dei suoi abitanti; c’è da giurare che Lambertini, sempre alla ricerca di stimoli ancestrali e ritmi partenopei, riproponga altre esperienze cinematografiche continuando a far rivivere il magico torchio tipografico e il suo domatore.
Di certo quella dei Raffone non è l’unica epopea familiare vissuta a Napoli bensì è una delle tante, troppe epopee vissute da gente, veri gentleman, che ha saputo dare un senso alla propria vita, esprimendosi con bravura, gusto e infinito garbo e contribuendo, infine, a far conoscere la nostra città a Parigi, Londra, Vienna, New York, Los Angeles e in ogni luogo dove la bellezza fosse compresa e rispettata.
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