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La favola di Maradona
La sua storia a puntate - 3
di Mimmo Carratelli
Diego Maradona nelle Cebollitas dell'Argentinos Junior (Foto tratta dal sito ufficiale www.diegomaradona.com)
Ojeda in porta. Linea difensiva con Trotta, Chaile, Chammah e Montana. Centrocampisti Lucero, Dalla Buona, Maradona. In attacco Duré, Carrizo e Delgado. Maglia rossa e ragazzi di undici anni, nel 1971. Sono le “cebollitas”, la ricchezza giovane dell’Argentinos Juniors del presidente Prospero Consoli, uno che ha fatto i soldi con unaimpresa di pompe funebri. Strapazzano tutti gli avversari. Giocano al sabato e fanno cinquemila spettatori, un’enormità. La gente dice: “Tutti i sabato è così quando gioca lui”. Lui è il pibe Diego Armando Maradona. Se ne accorge il “Clarin” che scrive: “E’ spuntato un ragazzo di capacità e classe di rompenti”.
Arrivano le televisioni. Canal 9 vuole filmare i tuoi famosi palleggi senza far toccare terra al pallone. Dopo un’ora, il cameraman ti dice: “Diego, basta. Il nastro è finito”. Pipo Mancera, famoso teleconduttore, ti invita alla sua trasmissione “Sàbados Circulares” e ti fa palleggiare in studio, in diretta. Le “cebollitas” sono un tornado. In tre anni, mettono a segno 136 vittorie di file.
Sei il beniamino di tutti i compagni. Hallar, “il turco”, minaccia di prendere a pugni tutti quelli che non ti passano la palla. Il magazziniere Miguel Di Lorenzo ti vuole bene come fossi suo figlio. “Que pasa, Galindez?” gli fai. Lo chiami Galindez perché Di Lorenzo somiglia proprio al pugile argentino.
Le tue “cebollitas” battono a ripetizione quelli del River. Fioccano le vittorie: 3-2, 7-1, 5-4. Nell’ultima, fai saltare il pareggio prendendo d’infilata sette avversari, li dribbli tutti come farai da grande contro gli inglesi a Città di Messico, e segni di delizia. Hai 13 anni. Il presidente del River offre due milioni di pesos per averti. Papà Chitoro dice: “Diego è felice dov’è”. Ti accompagna agli allenamenti. Dovete prendere due autobus, il 49 e il 28, per arrivare a Las Malvinas o al Parco Saavedra dove si allenano le “cebollitas”. Sul secondo autobus, papà Chitoro s’addormenta. Ha appena finito di fare le sue dodici ore al mulino Tritumol.
Hola, Diego. Quanti ricordi. Un ricordo malandrino contro il Velez. L’arbitro ti convalida un gol di mano, forse il primo gol di mano della tua storia, ma ti dice di non farlo più. “Grazie arbitro, ma non prometto niente” è la tua sfacciata risposta. Con un altro arbitro ti va male. Lui è stato un disastro in campo e tu alla fine gli dici: “Arbitro, lei è un fenomeno. Dovrebbe dirigere incontri internazionali”. Quello è permaloso e ti fa appioppare cinque turni di squalifica.
Ti pavoneggi nei pantaloni turchesi di velluto a zampa d’elefante. Hai 14 anni, quando dicono a Sivori: “In un campetto qui vicino c’è un tizio che si chiama Maradona. Vallo a vedere”. Sivori allena il River Plate. Il campetto è vicino allo stadio del River. Sivori viene a vederti. E’ il 1974. “Baciato dalla classe, velocità e fantasia, e una naturalezza impressionante” dice di te. Un giornalista, che avrei voluto essere io, scrive: “Quand’anche Maradona si presentasse a una festa in smoking bianco, e gli tirassero un pallone infangato, non ci penserebbe due volte a stopparlo di petto”.
Piangi quando perdi a Cordoba la finale nazionale giovanile. Un avversario viene a consolarti. “No llorés, Diego, que vos vas a ser el mejor diez del mundo”. Non piangere, Diego, perché diventerai il miglior numero dieci del mondo. Ti vogliono tutti bene. Anche il dottor Roberto Cacho Paladino dell’Argentinos che ti dispensa vitamine e ti irrobustisce. L’Argentinos ti fitta un appartamento al numero 2746 di Calle Argerich. Ci stai bene con mamma Tota, le sorelle non sposate, i tuoi due fratelli. Fai dipingere la tua stanza tutta d’azzurro, il colore della squadra della città che ti amerà più di tutti. Metti i dischi di Julio Iglesias e di Valeria Lynch. C’è una chiesa che ti attira, quella della Vergine Bambina. Vai sempre a Villa Fiorito a guardare la tua vecchia casa di mattoni e a far baldoria con gli amici del quartiere, con zio Cirillo e il cugino Beto che sono sempre là.
Con la scuola chiudi al terzo anno delle commerciali. E’ il 1976. In calle Argerich abita la famiglia di un tassista, don Coco Villafane, con la moglie donna Pochi e la figlia Claudia. La ragazza ti mangia con gli occhi. Tu fai finta di niente. Poi una sera di ottobre la inviti a ballare. Ci andate con la tua Fiat 125 rossa. Vi innamorate mentre gira un disco di Roberto Carlos. La canzone non me la ricordo, ma tu sì. La ricorderai sempre.
Intanto, sono avvenute altre cose sui campi di calcio. Ne parleremo la prossima volta. Hola, Diego.
3/5/2004
  
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