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Ancelotti sdogana la parola scudetto
di Mimmo Carratelli (da: Guerin Sportivo settembre 2018)
Quando al culmine di maggio d’ogni dispiacere, silenzio, compito interrotto, tempo scaduto, scudetto sfiorato, droni negli hangar di Castelvolturno, clausole di otto milioni, e occhi che non ragionavano più, e ammore scumbinato neanche più arrepezzato (ciao, Mimmo di Francia), e frennesia che voglia ‘e te lassà (ciao, Peppino Di Capri), quando si chiuse un ciclo, ma partì ugualmente il Giro d’Italia, Aurelio Liolà, un po’ qua un po’ là, incastrò l’allenatore comunista e annunciò l’allenatore democristiano. Allora il popolo, dal Vasto al Vomero, esclamò: “Azz, Ancelotti”.

Azz, e comincia una nuova storia azzurra fra le cinque sorelle del campionato tra le quali rischiavamo di diventare una cugina di campagna, nuje che perdiamo ‘a pace, ‘o suonno, Cavani e Higuain, e nun ce dicimmo maje pecché.

Dall’oggi al domani, Aurelio che barba amore mio, presidente dei cuori azzurri dagli anni in cui c’era Rosetta Iervolino, Nostra Signora di Palazzo San Giacomo, lui, Aurelio Fieramosca, lo spigolatore di Capri, Mister Los Angeles, il signor Denim al quale non devi chiedere mai, lui, questo po’ po’ d’uomo e di presidente piazza Carlo Ancelotti al centro del villaggio e spiazza gli incerti e gli scettici, i sentimentali e i nostalgici, gli eterni scontenti e i malpancisti, gli oppositori e i rosicatori.

Immortalatisi il presidente sorprendente e l’allenatore vincente in un doppio James Bond nel Casino azzurro e royale, la foto della nuova epoca Filmauro, da Dimaro con amore è nato il nuovo Napoli.

Non ci sono più droni e paragoni, girotondi, trine e merletti, palla dietro, palla avanti, dalla a me, dalla a te, dalla a lui, dalla e poi dalla, un gioco da signorine scostumate.

Non ci sono più l’ossessione del possesso, vizio tutto meridionale, la gelosia del modulo, la libidine dei triangoli e la lussuria delle sovrapposizioni. Si torna a un gioco semplice, ossuto, diretto, canino e incisivo.

Allan e Fabian Ruiz, questo colosso di spagnolo, 1,89, un solo centimetro più basso di Cassius Clay, conquistano palla, la sventagliano sulle fasce e partono finalmente i cross che erano proibiti ai tempi di Mertens (1,69) e saranno obbligati per Milik (1,86) e Roberto Inglese (1,87).

Si va dritti al sodo perché Carlo Ancelotti è un uomo sodo al comando. Dalla Grande Bellezza alla Grande Praticità. Dall’uomo matematico (Sarri) all’uomo pragmatico (Ancelotti).

Per i ghirigori qualche libertà sarà concessa a Lorenzo Insigne. Regista Hamsik, il Marek Nostrum, e Diawara suo vice valori. Din don Callejon un po’ dentro, un po’ fuori. Ounas per tutti e tutti per Ounas. Younes, l’ultima stampella. Simone Verdi Vidi Vici. E un colpo d’Arias dall’Olanda (vola Colombia). Una “rosa”, qualche spina, una grande spinta. Fra tanti bravi spunta all’orizzone don Rodrigo, centravanti del Valencia che molto vale (60 milioni minimo, 27 anni, 86 gol in carriera, brasiliano naturalizzato spagnolo).

Dietro ci sono Koulibaly, il bastione nero, e Raul Albiol, l’alfiere valenciano, palla e paella. In porta Alex Meret, 1,90, che se allarga le braccia è l’uomo vitruviano di Leonardo. Sugli esterni Hysay, il tamburino albanese, e il ginocchio sinistro ricomposto e sgonfiato di Ghoulam.

Di là della Val di Sole e tra gli alberi di Dimaro torna nel golfo un Napoli a sorpresa, non più la squadra “a memoria” di cui ormai gli avversari conoscevano l’ipotenusa e i cateti bloccandone le linee di passeggio e i passeggini, le circonferenze e i diametri.

Napul’è, squadra compatta e corta e ognuno aspetta ‘a ciorta. Ancelotti, allenatore di terra ed entroterre, Parma, Milano, Torino, Londra, Parigi, Monaco, per la prima volta in una città di mare con abitanti impazienti di chi tene ‘o mare nun tene niente.

Nel settimo anno di De Magistris, il sindaco vegano che non mangia gli avversari (perché non ne ha) e nel quattordicesimo di De Laurentiis che conosce l’A, B, C del calcio, dall’Atalanta al Cittadella, si profila un Napoli mina vagante che azzannerà una stagione dei solidi noti e di solide ambizioni, campionato, Champions e Coppa Italia senza escludere nulla perché ogni lasciata è persa. Con la voce di Massimo Troisi, De Laurentiis ha inchiodato Ancelotti: “Ricomincio da te”.

Carlo Ancelotti, uomo di colline emiliane, dovrà resistere allo scirocco che, a Napoli, ai più navigati intenerisce il core. E tu o ssaje comme fa ‘o core, ammonisce Pino Daniele.

Non il core-business della Juventus, ma ‘o core napulitano, ballerino e sussultorio, che, contrariamente al caffè di Nino Manfredi, più ti manda su e più ti tira giù, in questa città che osanna e abbatte nel gioco eterno di un bradisismico amore-odio.

Il cuore del tifo napoletano che solo Bruno Pesaola (quanto mi manchi, carissimo petisso!) rendeva allegro, Vinicio lo rese orgoglioso, Mazzarri un po’ apprensivo, Benitez addirittura europeo e Sarri col battito spagnolo del tiki-taka.

Che cosa ne farà Carlo Ancelotti di questo cuore per il quale Maradona sarà sempre meglio ‘e Pelè, e Didì, Vavà, Pelè site ‘a guallera ‘e Canè?

Le vittorie non ci incantano. Ci piace il teatro, lo spettacolo, lo show. Vincere, a Napoli, non è importate e l’unica cosa che conta sono lo struggimento, la felicità, lo stress, la passione. Le più belle melodie napoletane cantano amori impossibili, infelici, scombinati.

Il Napoli non è una squadra, è un sentimento direbbe il professore Bellavista. Perciò amore e sospiri, lacrime napulitane e scoppi di felicità passeggeri, perciò indimenticabili. Maradona è stata la felicità, i due scudetti roba da almanacchi. Ci renderà felicemente infelici e infelicemente felici Carlo Ancelotti?

C’è lo stop-player. Benzema una suggestione, Cavani una nostalgia e Vinicio ha 86 anni con le placche d’argento al posto delle anche però sempre in gamba.

De Laurentiis assicura i tifosi: “Sono io il vostro Matador”. Olè. “Milik segnerà venti gol”. Olè. Olè. E all’alba del 5 luglio, mentre il mondo è sconvolto dalla destinazione di Cristiano Ronaldo, Carlo Ancelotti quattro giorni prima della partenza per Dimaro scuote, sommuove ed eccita l’intero territorio azzurro, dal Volturno al Vesuvio, scrivendo sul suo sito: “Venti giorni di lavoro intenso che serviranno a gettare le basi e a preparare un progetto sportivo che si pone come obiettivo la conquista dello scudetto”. Poi è sbarcato a Capri con cappellino rosso per l’incontro programmatico con De Laurentiis.

Si ridestano i violini, rullano i tamburi, suonano i mandolini, si agitano gli scetavajasse, crepitano i putipù. Un giorno all’improvviso, Carlo Ancelotti sdogana la parola scudetto, mai profferita nel golfo per scaramanzia, modestia, mancanza di fiducia, soggezione della Juve, problemi con gli arbitri e con San Gennaro, esiguità di fatturato e abbondanza di fattucchiere.

Azz, ‘o scudetto! Io non gioco per arrivare secondo, ha detto Carlo.
15/8/2018
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