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Addio Santin,
la sua Cavese divenne leggenda a San Siro
di Mimmo Carratelli
(da: il Mattino del 30.12.2017)
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Un istriano ruvido e sentimentale era Pietro Santin giunto a Cava de’ Tirreni giovanissimo, in fuga con la famiglia dagli orrori di Tito, e così si definiva “un profugo del calcio adottato a Cava”, la città cui regalò un indimenticabile domenica del pallone e dalla quale spiccò il volo per una non fortunata permanenza a Napoli.
Era il 1983 e Ferlaino, dopo la disastrosa annata di Giacomini salvata da Pesaola, cercava un tecnico adeguato. Si favoleggiò di Trapattoni. Antonio Juliano voleva prendere Rino Marchesi, ma pare che don Corrado non fosse d’accordo e allora Totonno pescò Pietro Santin che, l’anno prima, aveva guidato in serie B una Cavese da applausi con quella favola domenicale a Milano, San Siro stregato dagli aquilotti salernitani.
A Milano era successo l’impensabile. La matricola mise sotto il Milan di Ilario Castagner alla seconda stagione in serie B, strafavorito per il riorno in serie A.
Era un Milan con Franco Baresi, Aldo Serena, Incocciati, Mauro Tassotti, Francesco Romano che sarebbe poi venuto al Napoli soprannominato Tota da Maradona, Oscar Damiani il dandy del calcio e Joe Jordan, lo squalo scozzese. In un incidente di gioco aveva perso gli incisivi e in campo non portava la dentiera, orribile a vedersi.
Settemila cavesi seguirono la squadra a San Siro. Lo squalo portò in vantaggio il Milan, il pescarese Tivelli e Bartolomeo Di Michele siglarono lo straordinario sorpasso. Fu l’indimenticabile domenica del 7 novembre 1982.
Con questa “leggenda” Santin arrivò al Napoli passando da Paleari, il portiere della Cavese, Bitetto, Piangerelli, Cupini, Pavone, tra gli “eroi” di San Siro, a Castellini, Krol, Bruscolotti, Ferrario ai quali si aggiunsero il delizioso Dirceu e il terzino Frappampina, condannato dal nome a una diffusa ironia.
Santin resistette sino a febbraio, quando fu sostituito da Marchesi. Aveva fatto quel che poteva assommando tre vittorie, otto pareggi (pareggiò col Milan) e otto sconfitte.
Persona troppo genuina, semplice, non ebbe l’improntitudine di domare un ambiente complesso. Era una persona troppo gentile per le furbizie e le magagne del grande calcio da potercisi ambientare.
Dopo Napoli, allenò a Bologna, Lecce, Catania. In quarant’anni di panchina, allenò tutte le squadra campane. Per fare fortuna gli mancò il cinismo necessario per correggere il suo modo di essere educato e disponibile.
Ma era contento delle sue esperienze, poche portate a termine ma lasciando ovunque un buon ricordo.
A Cava s’era appassionato al pallone studiando dai salesiani. Da ala sinistra giocò nella Spal di Paolo Mazza e proprio al Napoli rifilò un gol nella partita che gli azzurri vinsero a Ferrara (2-1) con le reti di Vinicio e Pesaola.
Negli ultimi tempi seguiva distrattamente il calcio. Non lo appassionava più. Troppi soldi, troppe star, troppe leggende fasulle.
Se ne è andato a 84 anni. Cava è stata la sua vera casa fino alla fine. Un uomo di pallone con i baffetti ben curati e quella favola indimenticabile a Milano, un pomeriggio di novembre quando gli aquilotti volarono alto e Pietro Santin fu un uomo felice.