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Cuore duro fuggito per 32 milioni
di Mimmo Carratelli
(da: il Mattino del 29.03.2017)
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Riecco al San Paolo la barbetta più triste d’Argentina. Riecco Gonzalo Higuain.
L’avvocato Carlo Correra, autore di uno splendido libro sul Napoli, “I globuli azzurri”, suggerisce che la migliore accoglienza sarebbe un assordante silenzio, l’indifferenza totale del San Paolo.
Il disamore completo perché amore non è mai stato. La noncuranza è come il vento che fa dimenticare chi non s’ama (un po’ Modugno).
Dalla città rapace che offre troppe distrazioni, come De Laurentiis definì Napoli sospettando notti di dolce vita tra gli azzurri, Gonzalo è scappato confinandosi nella piccola Torino dove non si muove foglia che la Juve non voglia e tutto è sotto controllo.
La benemerita caserma bianconera. Là vogliono tutti soldatini, disse una volta Cassano ricordando di avere rifiutato tre volte la Juve, sede poco appropriata per uno “che esce dai binari” dicendo sinceramente di sé.
È un soldatino Gonzalo Higuain? I laboratori juventini ne controllano il girovita e, a Torino, non c’è nessun Parco Matarazzo come su in via Tasso, a Napoli, dove la vita è bella quand’è bella.
Ligio e grigio Gonzalo alla Juve per vincere e per danaro (7,5 milioni netti all’anno). A trent’anni ha fatto la sua scelta non avendo mai vinto nulla e mai guadagnato tanto, pur pagato profumatamente a Napoli (5,5 milioni). Ma al core business non si comanda.
Torna al San Paolo per la prima volta. Per non mancare ha piantato anzitempo la nazionale argentina facendosi ammonire.
Squalificato (era sotto diffida), è volato sul primo aereo per Torino. Un attaccamento commovente ai non colori bianconeri. Un soldatino inappuntabile.
Torna sul campo dei 36 gol quand’era spinto da un’intera squadra al suo servizio. Rilanciato da un paziente maestro di calcio.
Ma aveva sempre un’aria estranea. Sbolognato dal Real Madrid, Gonzalo soffriva la sindrome di lesa maestà. Bella era Napoli, ma non vincente.
Sbuffava e protestava, costretto a giocare in una squadra che non andava oltre il secondo posto.
Meglio saltare sul carro dei vincitori, davanti a un fiume grigio e non più un mare azzurro. E atteso come il centravanti per vincere la Champions.
Un affare per il Napoli che ha incassato 90 milioni di euro, un affare per la Juve si vedrà.
Per il momento, il suo record torinese è quello di essere il giocatore più pagato nella storia della Juventus, 180 miliardi delle vecchie lire, secondo solo a Buffon che, nel 2011, costò 105 miliardi.
Thuram, nel 2001, arrivò alla Juve per 80 miliardi; Nedved, nello stesso anno, per 70 miliardi; Dybala, due anni fa, per 70 miliardi (32 milioni di euro).
Dopo 29 giornate di campionato, il rendimento juventino di Higuain è inferiore allo scorso anno col Napoli.
In maglia azzurra, 27 gol (15 decisivi). Alla Juve, 19 gol (3 decisivi). Col Napoli, non rimase a secco per più di una giornata. Nella Juve, per la seconda volta non segna da quattro giornate.
In Champions, Higuain ha assicurato alla Juve due reti: una decisiva col Lione (1-1), una contro la Dinamo Zagabria (2-0).
Pochino per un attaccante da 90 milioni più i 32,2 milioni di stipendio del contratto quinquennale.
Il suo “dovere” di ex l’ha già fatto. Due gol al Napoli, imponendosi di malavoglia a non esultare.
Decisivo in campionato nel 2-1 di Torino a fine ottobre. Una rete nel 3-1 dell’andata delle semifinali di Coppa Italia che si concluderanno mercoledì al San Paolo.
Riapparirà a Fuorigrotta con quel suo viso anonimo che non dice nulla, né gioia, né dolore.
Un argentino atipico. Non il più grande degli argentini che hanno deliziato l’Italia, da Renato Cesarini, che era nato però a Senigallia, a Sivori. E un altro, il più grande, meglio non nominarlo. La lana e la seta non si mischiano.
Altra emozione, da ex, regalò Josè Altafini. Aveva 34 anni e neanche scelse la Juve. Semplicemente, il Napoli lo mollò.
Libero e bello fu catturato dal club bianconero. Ma era troppo un mattacchione perché ci ferisse.
La prima volta che tornò al San Paolo, il Napoli di Vinicio schiantò la Juve con un gol di Canè e un rigore di Clerici.
Andava a mille quel Napoli. Josè entrò in campo negli ultimi trenta minuti al posto di Causio. Non fece danni.
Era la Juve di Vycpalek con Zoff, Furino, Anastasi, Capello, Bettega, Paolo Rossi che perse lo scudetto, due punti sotto la Lazio.
L’anno dopo, Josè fu una poco adorabile carogna. Era la massima risorsa della Juve dalla panchina. Al San Paolo giocò da titolare. Il Napoli di Vinicio aveva le gambe pesanti dopo l’eroico 1-1 nel fango di Ostrava (Coppa Uefa) che non ribaltò lo 0-2 dell’andata contro il Banik.
Josè aprì lo sfolgorante 6-2 della Juve, un rigore e un gol. Si prese i fischi che meritava. Ma gli volevamo bene perché era stato bene a Napoli e noi con lui.
ùAl “ritorno” fece peggio entrando dalla panchina al 75’ per Damiani. Il Napoli di Vinicio giocava per lo scudetto. Il sogno si infranse a Torino per la pallaccia che Josè cacciò nella porta di Carmignani su calcio d’angolo a due minuti dalla fine. 2-1 per la Juve.
Carletto Iuliano, capo ufficio stampa del Napoli, lo definì core ‘ngrato. Un tradimento d’amore, quello sì.
Higuain non è Altafini e nemmeno Vinicio. Anche il “leone” fu mollato dal Napoli per i veleni di spogliatoio attizzati da Amadei, allenatore che non sopportava Vinicio e Pesaola.
Fu ceduto scandalosamente al Bologna. Da ex al San Paolo tornò tre anni dopo con la maglia del Vicenza. Il Napoli vinse con un gol di Tacchi.
L’applauso per Vinicio fu lungo e commosso. Luis tornò altre due volte sempre con la squadra veneta. Segnò due gol, ma il Napoli vinse 4-2.
Nella seconda occasione, pareggiò il gol segnato da Altafini. Due grandi centravanti al confronto.
Il ritorno di Higuain non muove sentimenti. La fuga da Napoli, nascondendosi a Madrid per le visite mediche della Juve, un anno fa, ha ormai cancellato ogni traccia di doloroso stupore, amara sorpresa e tradimento.
Il Napoli si ritrovò a Dimaro il 25 luglio. Il Pipita lontano, nascosto nella nebbia del suo destino malcelato. Il 25 luglio cadde il fascismo, il 25 luglio cadde a Dimaro ogni sospetto.
Higuain divenne un idolo infranto come il maggiordomo Baines del racconto di Graham Green, falso e bugiardo.
Il giorno dopo, in un pomeriggio piovoso a Milano, il trionfante Beppe Marotta depositò in Lega il contratto che legava Higuain alla Juventus.