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Napoli Sotterranea
di Antonio Tortora
Sottosuolo, cavità, cunicolo, cisterna, ipogeo sono tutti termini che entrano a far parte del corredo linguistico di chi, in qualità di semplice viaggiatore, accorto visitatore, inguaribile curioso o interessato ricercatore, decide di immergersi nelle viscere di una città speculare rispetto a quella che è possibile vedere in superficie; e qui è più corretto usare il verbo ammirare piuttosto che vedere in quanto tutto ciò che Napoli offre, dai più svariati punti di vista sia in superficie che nel sottosuolo, suscita da sempre vera ammirazione.

Appare chiaro che perdersi nell’intricato tessuto di strade, vie, vicoli e piazze del centro storico costituisce di per sé un viaggio affascinante nella storia di un territorio ricco di significati e nel carattere di un popolo estremamente vitale e comunicativo; infatti in superficie, e cioè nel bel mezzo di quel teatro mobile il cui proscenio è rappresentato dalle strade e dagli spazi di vita comune, si può esercitare, anche in solitudine, quella forma di meditazione vagabonda che costantemente si intreccia con il racconto delle cose che si vedono e delle persone che si incontrano.

Chi scrive lo può testimoniare in quanto ogni volta che ne ha la possibilità cammina per la città ed esercita una forma di meditazione mediterranea che, a Napoli più che in ogni altra città, conduce al cuore della conoscenza e di quella concretezza che Eraclito, in “Dell’origine”, spiega limpidamente: “soltanto le cose che posso vedere, udire, conoscere direttamente, io prediligo”.

Appare altrettanto chiaro che per poter affermare di conoscere veramente la nostra città è necessario compiere un ulteriore passo, non in senso lineare, bensì in discesa ovvero in quel sottosuolo dove è opportuno essere accompagnati, per non perdersi ma anche per poter meglio comprendere le radici stesse di una cultura millenaria.

Le guide dell’associazione culturale Napoli Sotterranea (www.napolisotterranea.org), da circa venti anni, conducono i visitatori nella Napoli greco-romana e, in una emozionante escursione che dura poco meno di due ore, disvelano progressivamente la storia e i misteri partenopei in un ritorno alle origini che prende avvio, in piazza San Gaetano, dopo aver sceso i circa 121 scalini di accesso all’acquedotto Bolla e dopo aver raggiunto i 42 metri sotto il livello della città.

Se è vero che, nei miti fondativi della città antica, l’habitat umano doveva riprodurre il Cosmo sia pur in scala ridotta, allora piazza San Gaetano che sorge laddove insisteva il Tempio dei Dioscuri, l’Agorà greca prima e il Foro romano poi ed ancora gli edifici civili, continua a rivestire il centro sacro simbolico di tale microcosmo nonchè il centro della vita politica, sociale e commerciale della città. E’ in altre parole la sua vera anima.

Quale punto d’accesso migliore poteva essere scelto per affrontare una discesa che ripropone, nonostante il materialismo che caratterizza i tempi moderni, una vera e propria esperienza rituale tipica dei culti misterici?
Chi compie questa visita ha modo di accorgersi, con estrema e immediata chiarezza, che il carattere luminoso e solare della città incontra quella che può essere definita una natura tenebrosa e perciò densa di mistero.

“Nonostante il calo di presenze turistiche registrato a Napoli negli ultimi anni – dice Enzo Albertini presidente dell’associazione e speleologo di chiara fama – è quasi d’obbligo per tutti coloro, italiani e stranieri, che visitano la nostra città, venire qui e scendere obbedendo a un fortissimo istinto di curiosità ma anche ad un passaparola internazionale che ha fatto conoscere il nostro sottosuolo in tutto il mondo”.
Cosicchè lo staff è organizzato per offrire assistenza e spiegazioni, in qualsiasi lingua, sia a un generico pubblico di turisti che a studiosi e ricercatori.

Varcata la soglia del civico 68 di piazza San Gaetano, il suggestivo itinerario si snoda per circa un chilometro fra cisterne, cunicoli intonacati e labirintici passaggi che danno una idea di quegli oltre 600mila metri quadrati di sotterranei scavati interamente in una roccia che è stata sfruttata per almeno tremila anni in maniera ben documentata, per circa 5000 anni secondo ipotesi di studio che sconfinano nel mito, e che solo negli ultimi quaranta anni è stata sostituita da altri materiali come il calcestruzzo armato.
Ci riferiamo ovviamente al famoso Tufo giallo napoletano, in termini geologici la più giovane roccia da costruzione, caratterizzato da grande leggerezza, ottima lavorabilità, e buona presa con le malte, con cui le antiche maestranze costruirono edifici tanto alti da stupire i viaggiatori.

Forse, a conferma della tesi di Strabone circa la leggendaria presenza dei Cimmeri laddove oggi c’è Napoli e delle testimonianze ulteriori di Plinio il vecchio, Tito Livio e Seneca, i napoletani potevano anche, a bon droit, essere definiti un popolo di minatori.
Se ne trova traccia nel toponimo “Monte” che veniva usato frequentemente, a Napoli, per indicare i banchi tufacei come nel caso di Monte Echia, lì dove furono effettuate le originarie estrazioni lungo il bordo della falesia al fine di costruire i primi edifici sull’isola Megaride e successivamente per l’edificazione di Partenope, città ispirata alla omonima Sirena.

In effetti viaggiando con la fantasia e ascoltando le spiegazioni che le guide sapientemente offrono ai visitatori, diventati per l’occasione aspiranti speleologi, pare di sentire gli echi lontani del lavoro di cava dove colpi di “smarra” e “zappone” venivano vibrati con potenza sui “cugnuoli” in ferro o legno con cui venivano staccati i quadroni tufacei; così come pare di vedere gruppi di “tagliamonte”, “spaccatori”, ”rompitori” e “alzatori” intenti alla lavorazione di una roccia giallo paglierino che contraddistingue, ancora oggi, il Castel dell’Ovo sull’isoletta Megaride, Palazzo Donn’Anna a Posillipo, il Castel Sant’Elmo sulla collina del Vomero e un’infinità di costruzioni realizzate fra il punto più basso e il punto più alto della città.

Letteralmente sospesi alle “greppiate” piccole prese scavate lungo le pareti, i free climbers dell’antichità scavarono circa otto milioni di metri cubi di vuoto nel sottosuolo ad oggi esplorato, consentendo a Greci e Romani di realizzare l’acquedotto Bolla a pelo libero e disseminato di cisterne di raccordo e pozzi in ogni palazzo cittadino e l’acquedotto Augusteo ovvero il più grande sistema acquedottistico dell’impero romano, dotato di una fitta rete di tubi (fistulae plumbee) che distribuivano l’acqua in pressione direttamente presso le abitazioni; ne rimane prova inconfutabile a Pompei.
Parliamo di una rete idrica che ha funzionato, fra alterne vicende e opportunamente potenziato dall’acquedotto del Carmignano nel 1629 e da quello Carolino nel XVIII secolo., per circa 2.300 anni.

Ed è proprio attraverso le gallerie di servizio, in particolare del Bolla così chiamato dalla contrada di Volla dove avveniva la captazione delle acque di falda, che i gruppi di visitatori possono seguire le tracce e i segni distintivi degli ingegneri e dei minatori del passato nonché dei pozzari che per un lunghissimo periodo furono padroni incontrastati delle acque cittadine e dell’intero sistema distributivo.

Inoltre gli stessi visitatori possono leggere le firme, i graffiti e i disegni che, con ogni mezzo, furono realizzati da coloro che, per scampare ai bombardamenti americani della metà degli anni ’40, si rifugiarono proprio nelle cavità sotterranee e in questi stessi tratti di acquedotto oggi percorribili con Napoli Sotterranea.

Paura e sentimenti drammatici si leggono in quei messaggi, scritti a memoria dei sopravvissuti, da decine di migliaia di cittadini che decisero di rifugiarsi in quegli improvvisati e provvidenziali rifugi antiaerei che di fatto consentirono a molti di essi di salvarsi.

Si capisce dunque che il percorso da seguire offre più livelli di lettura, a seconda della sensibilità individuale e della profondità delle conoscenze.

Eppure ci troviamo, tutto sommato, a visitare una piccolissima parte di quelle molte centinaia di cavità che si estendono anche oltre il perimetro cittadino e di cui per elencarne i soli nomi occorrerebbero circa 40 pagine dattiloscritte; ancora nel 1923 il Dall’Erba nel volume “Tufo Giallo Napoletano” elenca una settantina di cave ancora in funzione fra Arenella, Camaldoli, Cristallini, Fontanelle, Piedigrotta, Posillipo, Sanità, Scudillo e Vomero.

A titolo di curiosità ricordiamo che il primo provvedimento contro l’abuso edilizio ante litteram si concretizzò nelle 7 prammatiche emanate dal Vicerè don Pedro di Toledo marchese di Villafranca che, nel 1566, vietavano l’edificazione all’interno delle mura cittadine al fine di arginare l’esodo dalle campagne verso la città; in quei frangenti i cavamonti, per non dare nell’occhio trasportando alla luce del sole il tufo da cave lontane, estrassero il prezioso materiale proprio dalle cisterne dell’acquedotto Bolla ampliandole e rendendole accoglienti per i rifugiati della Seconda Guerra Mondiale.

In altre parole fiorirono le sopraelevazioni con tufo proveniente direttamente da sotto i fabbricati; una delle ragioni per cui i vuoti volumetrici dei sotterranei equivalgono ai pieni volumetrici di superficie attestando una “continuità geologica” unica al mondo nonché una speciale “elasticità” che avrebbe salvato la città da terribili onde sismiche che nel corso dei secoli hanno più volte attraversato le ampie cavità del sottosuolo.

Tornando alla meritoria attività dell’associazione Napoli Sotterranea (info@napolisotterranea.org), va detto che fino a qualche mese fa la classica escursione prevedeva una serie di visite: al rifugio antiaereo con la ricostruzione di un carro armato, alla cisterna del pozzaro, alla cava di tufo greco-romana dove con un’apposita animazione viene illustrata l’attività dei cavamonti, alla cisterna greca e alla cisterna romana dove viene mostrato un pozzo in funzione, ad un passaggio con candele fra strette intercapedini non più larghe di 50 cm. per una lunghezza di circa 150 metri (estremamente suggestivo), all’esperimento botanico avviato negli anni ’80 con l’intento di dimostrare che alcune piante senz’acqua e con luci fredde, appositamente installate, possono sopravvivere grazie alla forte umidità presente nei sotterranei ed infine ai resti del teatro greco-romano cui si accede spostando un letto all’interno di un tipico basso in Vico Cinquesanti.

Oggi ci sono novità importanti che arricchiscono di contenuti ed emozioni la visita al sottosuolo di Napoli ed Enzo Albertini ce le rammenta con giusta soddisfazione: “abbiamo allestito una esposizione di circa 30 presepi del ‘700 e dell’800 dopo averli cercati per circa tre anni in giro per l’Europa, acquistati in Francia, Spagna e Italia e opportunamente restaurati; così facendo abbiamo voluto celebrare i 150 anni del presepe neoclassico fortemente amato e voluto da Carlo III° di Borbone che ne ha, in buona parte, stabilito i canoni estetici.

Gli scarabattoli, tutti rigorosamente settecenteschi e ottocenteschi come i presepi che contengono, sono stati esposti in un ambiente appartenente sempre alla summa cavea del Teatro Romano, dove Nerone si esibiva ogni volta che poteva, cui si accede da un altro suggestivo basso da noi recentemente attrezzato per questa particolare mostra permanente che è arricchito anche di altri manufatti artistici come le splendide riggiole napoletane del ‘700”.

Nello stesso ambiente i ragazzi delle scuole, volendo, possono assistere alla preparazione della pizza nella esatta maniera in cui viene preparata a Napoli e il luogo, per l’occasione, assume il nome di pizzeria “o’ munaciello”.

Non contento di tutto ciò il presidente Albertini ha realizzato una installazione che prevede, al di sotto dell’area sacra di San Paolo Maggiore e precisamente all’interno del pozzo al centro del chiostro, la movimentazione lenta e drammatica di un grappolo di bombe di aereo per ricordare il terribile bombardamento dell’agosto del 1943 e il provvidenziale e miracoloso disinnesco delle tre bombe che, incastrandosi fra le pareti del pozzo, non esplosero; il tutto è visibile durante il percorso ed è opportunamente contestualizzato con il piccolo ma nutrito war museum in superficie e visitabile alla fine del giro semispelologico.

Nel museo sono visibili, oltre a auto e moto militari dell’epoca, armi, cimeli, attrezzature, uniformi, elemetti e insegne; un vero concentrato di storia contemporanea e testimonianze ancora vive nella mente degli anziani.

Durante la visita si staziona in quella che per molto tempo è stata la cantina del complesso conventuale di San Gregorio Armeno dove si conservava un vino molto particolare, dedicato a Santa Patrizia che ogni martedì scioglie il sangue, dal nome “Tufello” in quanto le bottiglie venivano riposte a stagionare in involucri di tufo; ebbene anche questa tradizione è stata ripresa dall’associazione Napoli Sotterranea che lo commercializza riproponendo un antico prodotto dove il sapore dell’uva e l’odore del tufo ne fanno un unicum.

Per chiudere, Rosaria Albertini anch’essa guida infaticabile e animatrice dell’attività associativa, illustra un’altra nuova iniziativa ovvero l’apertura del Caffè della Stampa, proprio di fianco alla Basilica di San Lorenzo Maggiore altro luogo simbolo della Napoli Underground; qui i giornalisti vengono accolti con un scontistica particolare ma soprattutto trovano un vero e proprio contact point per potersi incontrare, per leggere, per scrivere, per pensare e soprattutto per raccogliere gli umori e le sensazioni dei turisti italiani e stranieri che, ci si augura, continuino ad affollare i cardini e i decumani di una delle più belle città del mondo.

Info:
Napoli Sotterranea Associazione culturale
Piazza San Gaetano 68 – Napoli
Tel. 081/29.69.44 Cell. 368/35.40.585
www.napolisotterranea.org
mail: info@napolisotterranea.org

Escursioni: da lunedì a venerdì ore 12.00 – 14.00 – 16.00
Giovedì anche alle ore 21.00
Sabato, domenica e giorni festivi ore 10.00 – 12.00 – 14.00 – 16.00 – 18.00

Per gruppi, scuole pubbliche e private si accettano prenotazioni anche in orari diversi.
Si consiglia una felpa anche in estate per temperatura costante di 18° e tasso d’umidità pari al 90%.

26/2/2011
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