Cronaca
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Bentornato “San Carlo”, anima della città Capitale
Torna a battere il vero cuore pulsante della Napoli borbonica
di Angelo Forgione
Il “Real teatro di San Carlo” che torna ad abbagliare è una grande notizia per la città. Il “massimo” napoletano non è solo il teatro lirico più antico, non è solo il più bello; è molto di più. È il cuore culturale pulsante di Napoli, la vera anima dell’antica Capitale di un antico Regno indipendente capace di issarsi in cima all’Europa dell’ottocento.

La storia del “San Carlo” è la storia stessa della Napoli Capitale. Nasce quando Napoli si affranca dalle dominazioni straniere e diviene cuore di un Regno autonomo. Mai più viceré, il San Carlo è il primo tempio di un Re, Carlo di Borbone, che lo volle prima delle Regge di Capodimonte, Portici e Caserta. L’intenzione del sovrano, appena due anni dopo la conquista del Regno, era politica, assai più diplomatica che non passionale; Carlo non era un grande appassionato di spettacoli musicali ma ritenne che la Capitale dovesse avere un degno real teatro accanto al real palazzo. Sapeva che Napoli aveva una lunga tradizione d’eccellenza per gli spettacoli musicali e volle dunque valorizzarla per offrirla agli occhi dei capi di Stato e ai diplomatici europei come caratteristica culturale del Regno, il tutto in una sede di pari eccellenza che fu poi reso sede di incontri diplomatici, celebrazioni, eventi politici nazionali e internazionali. luogo di rappresentanza della grande dinastia borbonica napoletana imparentata con altre famiglie regnanti in Europa.

Gli artefici del capolavoro, Antonio Medrano e Angelo Carasale, tennero fede alle aspettative del sovrano e regalano al mondo un vero gioiello mai visto prima e mai eguagliato dopo. Ma si racconta che Re Carlo, la sera dell’inaugurazione, coincidente con la ricorrenza del suo onomastico, trovò da ridire: "Sarebbe stato maggior comodo della regal famiglia passare dal palazzo reale al teatro per cammino interno". Pare che in sole tre ore, abbattendo grandi muri, formando ponti e scale di travi e di legni coperti con tappeti ed arazi, e abbellito da lumi e specchiere, l’ingegnoso impresario Carasale creò il passaggio interno realizzando il desiderio espresso dal Sovrano.

Nel 1816 il San Carlo andò a fuoco e in una notte le fiamme distrussero il tempio europeo della musica. La città sprofondò nel lutto e i giornali di tutto il continente seguirono con dispiacere le cronache locali. Ma l’inimmaginabile divenne realtà grazie a Re Ferdinando IV di Borbone e all’architetto Antonio Niccolini che in meno di un anno restituirono a Napoli il suo teatro mutato nell’aspetto, più bello e più completo di prima con nuove decorazioni e con la bellissima tela sul soffitto affrescata dal Cammarano. Da quel momento il “massimo” napoletano divenne elemento fondamentale nella storia dell’evoluzione dell’opera lirica nel mondo.
Lo ammirò Stendhal e ne fu entusiasta: "Non c'è nulla in tutta l'Europa che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la più pallida idea. Gli occhi ne restano abbagliati, l’anima rapita. La mia prima impressione è stata quella di essere stato trasportato in un palazzo di un imperatore d’oriente". Così si espresse lo scrittore francese nel 1817.

Il “San Carlo” è specchio della Napoli Capitale anche nella sua fine risorgimentale. In quanto grande espressione della magnificenza borbonica, il San Carlo ha per questo dovuto subire degli interventi di carattere propagandistico da parte dei Savoia in seguito all’unità d’Italia.
In origine i tessuti e i rivestimenti della sala erano in blu e oro, colori della Casa Borbonica, ma i piemontesi, con l’Unità d’Italia e l’invasione del Regno delle Due Sicilie, imposero il cambio cromatico col proprio rosso presente nell’effigie savoiarda, quella stessa effigie sovrapposta a quella borbonica anche sul palco reale.
Fu anche nascosto l’emblema reale borbonico posto sull’arco scenico sotto uno scudo piemontese, poi riscoperto e ripristinato solo qualche decennio fa.
La dinastia sabauda fece molto di più, strozzando urbanisticamente il monumento borbonico con un altro di grande bellezza che gli fu costruito a ridosso, la Galleria “Umberto I” che per imponenza sminuisce ed eclissa la facciata esterna del “San Carlo”, l’unico grande teatro che non “respiri” in uno spazio aperto. Non è un caso che l’ingresso principale della Galleria sia stato realizzato di fronte, su Via San Carlo, a forma di esedra, come ad avvolgere e rinchiudere la facciata del teatro che nessuno può apprezzare. Da qualunque verso vi si giunga, che sia quello di Piazza Trieste e Trento o quello dei “cavalli di bronzo”, l’occhio cade inevitabilmente sulla galleria. La frontalità delle due facciate on è una casualità ma un ideale e irriverente faccia a faccia tra quelli che a tutti gli effetti sono gli emblemi monumentali delle due dinastie.
Dopo la caduta del Regno, anche il “San Carlo” subì un certo graduale declino rispetto agli altri grandi teatri europei. Ma la gloria di questa che è una delle tante iniziative borboniche, che ancora oggi fanno di Napoli e del Sud uno scrigno di ricchezze, riprende i fili del passato e sfolgora nella storia della musica e della grande civiltà napoletana, duosiciliana e italiana.

I più radicali avrebbero preferito un ritorno al colore blu per dissolvere un torto a chi quel teatro l’ha voluto, ma nessuno ha avuto il coraggio di compiere questa scelta. Ad ogni modo la rinascita del “San Carlo” riportato agli antichi splendori significa tantissimo per Napoli e per i veri Napoletani, e deve rappresentare nuova linfa vitale per il rilancio di una città e di un popolo poco consapevole della sua storia e delle sue potenzialità. Un teatro che si presenta completamente rinnovato, rinvigorito nella forza della sua tradizione, nella bellezza dei suoi stucchi, nello splendore esplosivo tanto celebrato da un travolto Stendhal.
Il più bello, come attesta lo scrittore, ma anche il più antico. Il “San Carlo” è, tra i teatri europei, quello che vanta radici più profonde nel tempo e nell’eccellenza del cartellone musicale offerto nel corso dei tre secoli di vita iniziata nel 1737.

Da allora cuore pulsante della cultura napoletana, un teatro in grado di propagare le sue emozioni oltre lo spazio racchiuso tra la platea e il bellissimo palco reale, capace di coinvolgere la città e il suo popolo. Una benefica malattia che ancora oggi rinnova i suoi effetti contagiando semplici cittadini, amanti dell’arte e della musica, grandi esponenti della cultura, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, fino ad arrivare alla stampa internazionale che saluta l’evento con ammirazione e riporta Napoli all’onore delle cronache per le sue positività. Ecco perché l’operazione può e deve essere un monito per il recupero del decoro di ogni monumento di una città unica ma non valorizzata agli occhi del mondo.

Il “San Carlo”, carico della sua storia e pieno della sua bellezza e splendore, luogo di elezione e orgoglio di Napoli e dell’intera Italia, torna oggi alla stupore intenso fino allo stordimento che Stendhal provò entrandovi, e gli artefici di quest’operazione, l’architetto Elisabetta Fabbri in primis, hanno il merito di aver ridato all’Italia e al mondo il teatro più antico e più bello che esista.

Video: “REAL TEATRO DI SAN CARLO”, il più bello del mondo
http://www.youtube.com/watch?v=6u-8ptgSyqs
27/1/2010
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