Cronaca
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La cattiva sorte delle pregevoli statue borboniche
Sulle tracce di busti sopravvissuti, vandalizzati o distrutti nel meridione
di Angelo Forgione
La cancellazione delle tracce borboniche a Napoli e, più in generale, in tutto il sud Italia vede chiaramente nelle statue dei sovrani l’obiettivo persecutorio più importante. Il fatto che fossero opere di grandi maestri del neoclassicismo e che, per questo, rappresentassero un patrimonio artistico, non costituì ostacolo affinché venissero risparmiate. Fu chiaramente facile cambiare la toponomastica delle città o ribattezzare monumenti e opere pubbliche sovrapponendo i nomi della monarchia sabauda e risorgimentale a quelli della monarchia uscente. Restano del periodo duosiculo quei monumenti di architettura mascherati con denominazioni e funzioni di propaganda savoiarda che difficilmente possono mostrare la loro paternità alla massa ormai distratta. Ma per le statue dei Borbone il discorso fu decisamente diverso. Le statue e i busti borbonici hanno subito la sorte peggiore: vandalizzate o rimosse per sottrarle alla vista dei cittadini, quando non addirittura distrutte.

La ricerca può partire dalla colossale statua in ghisa di Ferdinando II di Borbone, una delle più grandi realizzate in Italia, sita all’esterno del Museo Ferroviario di Pietrarsa (1). Fusa nel 1852 sul modello in gesso dello scultore napoletano Pasquale Ricca, fu fatta bersaglio di colpi di fucile sparati dalla soldataglia piemontese nei transiti tra Napoli e Castellammare. Per proteggere l’opera, gli operai nel 1860 la ritirarono nel deposito della sala modelli e solo una quarantina di anni dopo la statua del sovrano borbonico tornò in esposizione, con i segni delle fucilate tuttora visibili (2) che stridono con l’iscrizione sul basamento a ricordare che lo scopo del sovrano era di svincolare lo sviluppo tecnico e industriale del Regno dall’intelligenza straniera. La statua raffigura il sovrano nell'atto di ordinare la fondazione delle officine (2).

A Palazzo San Giacomo, quello che una in origine era il Palazzo borbonico dei Ministeri di Stato, erano presenti quattro statue raffiguranti Ruggero II d’Altavilla, Federico II di Svevia, Ferdinando I di Borbone e Francesco I di Borbone. Furono realizzate dallo scultore catanese Antonio Calì, allievo prediletto del Canova. Le statue dei primi due furono installate nelle nicchie appena dopo l'entrata, le altre due in delle nicchie poste ai lati delle prime rampe parallele della scala maggiore. Le quattro statue rimasero indisturbate per trentacinque anni; poi, con la caduta del Regno delle Due Sicilie, fu maltollerata la presenza nel palazzo delle due figure borboniche. E così i marmorei Ferdinando I e Francesco I furono rimossi e sostituiti con due figure allegoriche femminili (3) di fattura molto meno pregevole. Naturalmente furono tolte anche le lapidi borboniche alla loro base e al loro posto, ancora oggi, semplice intonaco bianco.

Lo scultore Antonio Calì è l’anello di congiunzione artistica tra Napoli e Catania. In molti sanno che i monumenti equestri della Piazza del Plebiscito a Napoli raffigurano Carlo III di Borbone (4) e Ferdinando I (5). Il primo fu illuminato Re di Napoli e Re di Sicilia; il secondo fu suo erede in quello che poi divenne il riunito Regno delle Due Sicilie. Non tutti sanno invece che la prima opera è interamente di Antonio Canova, massimo esponente del Neoclassicismo, a cui si deve anche il cavallo della seconda che, a causa della sua morte, fu completata proprio dal suo allievo Calì utilizzando il modello canoviano della scultura corporea di Carlo III per realizzare la figura di Ferdinando I nello stile intrapreso dal maestro (il Calì in seguito si rifece alle opere del Canova anche nelle statue borboniche poste all’interno del Palazzo dei Ministeri di Stato del Regno).

L’influenza del Canova sul Calì è chiara anche nelle tre statue borboniche commissionate a Catania, a cominciare da quella visibile all’esterno di Palazzo Biscari (6), priva di testa e scettro. Una targa appoggiata a terra indica che si tratti di di Ferdinando I (7) ma è molto probabile che si tratti invece di Ferdinando II. La deduzione deriva dalla comparazione con la statua bronzea del 4° sovrano borbonico presente a Messina (8), un’opera quasi gemella a quella marmorea di Catania. Detto questo, non rappresenterebbe un’impresa titanica per il Comune di Catania la verifica di quanto evinto e la conseguente correzione della targa unitamente al restauro della statua stessa, magari rifacendosi proprio al calco della versione messinese. L’incertezza del Comune di Catania è sintomatica di una scarsa attenzione verso la verità storica, spesso mistificata e trasferita in maniera distorta ai giorni nostri.
La statua è, come detto, privo della testa e dello scettro (9) mai ritrovati, vandalizzata dai garibaldini al momento dell’invasione di Sicilia. Conservata per un secolo nei magazzini municipali della città etnea, la statua fu ricollocata nel 1964 così come fu rinvenuta. Il Sovrano è raffigurato in piedi, in posizione austera con indosso l'uniforme dei dragoni e un grande mantello sulle spalle impreziosito dai gigli borbonici (10).
Sempre a Catania, è presente la statua di Francesco I in livrea bellica (11). Collocata nel 1835 in Piazza Università, fu poi anch’essa decapitata e rimossa dai garibaldini per poi essere ricollocata all’interno del Giardino Pacini.
Non si hanno invece tracce della terza statua borbonica catanese del Calì, quella dedicata a Ferdinando I, della cui esistenza v’è certezza perché più volte descritta in testi catanesi dell’epoca.

Lo stesso “Liotru” (12), il monumento simbolo della città etnea, rischiò di essere nascosto per motivi “politici”, a seguito del periodo più prossimo all’unità d’Italia. Nel Maggio del 1862 tutto era pronto per rimuovere la Fontana dell’Elefante, ma le forti ire popolari riuscirono ad impedire lo scempio poco prima che avvenisse. Tutto ciò accadde perché durante la dominazione borbonica, nello stemma della Città, sul dorso dell'Elefante, venne posta la civetta borbonica. Questo fu il motivo per cui l'Elefante di Piazza Duomo fu visto come un vestigio borbonico. Inoltre, il monumento fu ritoccato nell’aspetto all’indomani della conquista del trono di Napoli da parte di Carlo III allorché la Sicilia si ritrovò unita a Napoli. L’architetto Giovan Battista Vaccarini, che collaborò col Vanvitelli anche alla scelta dei marmi per la Reggia di Caserta, assemblò l’elefante di pietra lavica già preesistente (ma danneggiato dal violento terremoto del 1693) con un obelisco egizio. Sulla fontana, la cui vasca fu aggiunta in seguito nel 1757, è ancora visibile l’incisione “Carolo Borbonio Regi” (13).

Risalendo a Messina, nella città peloritana erano presenti le statue di Carlo III, Ferdinando I, Francesco I e Ferdinando II che andarono distrutte durante i moti del 1848 e poi rifatte. Quelle di Ferdinando I e Francesco I (14) furono nuovamente distrutte a seguito dell’entrata in città di Garibaldi nel 1860, mentre quelle di Carlo III (15) e Ferdinando II (8) furono salvate e messe al sicuro per poi essere restituite alla città nel 1973, rispettivamente in Piazza Cavallotti e, scherzo del destino, in Via Garibaldi.

A Palermo, a fine ‘700,  delle statue borboniche poste su alti piedistalli adornavano l’antico Foro Borbonico, oggi Foro Italico, luogo dal quale, nel 1735, Carlo III di Borbone fece l’ingresso trionfale a Palermo. Vennero poi abbattute dal popolo durante i moti del 1848 e, nel 1860, anche la denominazione del Foro fu cambiata.

Anche a Foggia, nel 1820, furono realizzati i Giardini pubblici, oggi Villa comunale. Sul fronte di quella che oggi è detta piazza Cavour, vi erano quattro finestre, due per parte, le quali furono trasformate a nicchie (oggi vuote - 16) per ospitare le statue dei sovrani borbonici: Francesco I, Elisabetta, Ferdinando II e Maria Teresa, opere degli artisti Tacca e Angelini, anch’essi allievi del Canova. Le statue, poi, per la sopraggiunta unità d'Italia, furono rimosse e sistemate al secondo piano del Teatro "Umberto Giordano", nel Salone del Circolo Dauno, oggi Salone di rappresentanza "Fedora".

A Napoli, come detto, si sono salvati i monumenti equestri di Piazza del Plebiscito ai quali va aggiunta la statua di Carlo III in una delle nicchie della facciata di Palazzo Reale (17).
Al primo sovrano di Borbone doveva essere dedicato un monumento equestre nell’attuale Piazza Dante (18), detta Foro Carolino all’epoca del sovrano, ma se ne realizzò solo il calco che venne distrutto durante i moti della Repubblica Napoletana del 1799.

Anche a Bari, nel 1859, fu prevista a furor di popolo una statua marmorea in onore di Ferdinando II in quello che allora era detto Corso Ferdinandeo e oggi è invece Corso Vittorio Emanuele II. Incaricati dell’esecuzione furono gli scultori Tito Angelini, Giuseppe Sorbillo, Gennaro De Crescenzio, ed Emanuele Caggiano. Il progetto non fu comunque portato a termine, a causa dell’occupazione garibaldina del Regno delle Due Sicilie.

A Reggio Calabria, nel 1828, all’indomani della Restaurazione borbonica l’attuale Piazza Italia fu battezzata “Piazza dei Gigli”, con riferimento all'allora famiglia reale dei Borbone, in onore dei quali, nel 1828, venne eretto un monumento dedicato a Ferdinando I, in segno di gratitudine per  aver elevato la città a terzo capoluogo di provincia con il nome di Calabria Ulteriore Prima. Con l'ingresso in città di Garibaldi e l'unificazione dell'Italia, la statua borbonica venne abbattuta e la piazza venne intitolata a Vittorio Emanuele II. Nel 1868 fu collocata la statua che tuttora si erge al centro della piazza, raffigurante una figura femminile, l'Italia.
Destino ineluttabile e triste dunque per le statue borboniche. Ai nostalgici della monarchia che fece grande Napoli e il meridione d’Italia non resta che consolarsi con il monumento equestre di Carlo III (19) alla “Puerta del Sol” di Madrid, rispettato e onorato dagli spagnoli rispettosi di un Re che in terra iberica ha introdotto l’inno e la bandiera nazionale, governando bene così come aveva precedentemente fatto a Napoli e nel sud.
Le tracce delle statue borboniche nel meridione d’Italia per il momento si esauriscono qui… ma la ricerca storico-artistica continua.

Alcune foto sono tratte da:
comune.napoli.it
comitatosiciliano.blogspot.com
3/9/2009
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