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15/1/2010

Il Pazzariello di Paolo Izzo
di Antonio Tortora

Qualcuno ha visto il Pazzariello per le vie di Tokyo o per le vie di Osaka? Per un napoletano doc il quesito appare a dir poco strano, fuori luogo e non geograficamente compatibile; sembra non consono poiché, si sa, il Pazzariello è una creatura squisitamente partenopea e dalle antichissime origini; viene percepito persino provocatorio in quanto nella memoria dei più anziani e dei giovani che ancora hanno conservato la capacità di ricordare e di apprezzare il passato sarebbe assurdo ascoltare un pazzariello che da la voce, urla e canta in linguaggio nipponico e suona con un mix di strumenti orientali e dall’acustica desueta e inascoltabile per un orecchio occidentale e per di più italico, mediterraneo e meridionale.

Ebbene, la risposta è positiva e lo conferma il ricercatore universitario Giovanni Borriello in un suo scritto pubblicato su Orientalia Parthenopea e dedicato interamente al Chindon’ya le cui performances musicali possono essere rintracciate a Tokyo, in particolare nei sobborghi periferici come Okubo, e fuori alle piccole botteghe di Osaka dove la tradizione, risalente all’epoca Edo (1603-1867) viene ancora fatta rivivere fin da quando il proprietario del negozio di dolciumi Ame Katsu decise di attirare clienti vestendosi in abiti tradizionali e suonando strumenti dell’antichissima tradizione giapponese. Il napoletano incredulo se ne faccia una ragione: anche nel lontanissimo Oriente il Tozaiya o l’Hiromeya (antiche definizioni del Chindon’ya) girano per le stradine di Osaka nella veste di “single street performers” e per le ampie vie di Tokyo in veri e propri “group street performers”; si perché anche in Giappone il pazzariello gira da solo o in piccole formazioni di musici esattamente come avveniva a Napoli almeno fino agli anni ’60 e raramente agli anni ‘70. In Giappone tale figura era ed è percepita come “ambulante pubblicitario” e in parte tale definizione calza anche per il fantasmagorico banditore napoletano. Dunque non avendo più il pazzariello napoletano dobbiamo arrangiarci con quello giapponese? Diamine, non è possibile!
 
Ma fermiamoci un attimo e tiriamo il fiato; non tutto è perduto. Ci soccorre uno studioso napoletano Paolo Izzo, titolare di una piccola ma coraggiosa casa editirice partenopea “Stamperia del Valentino” che oltre a occuparsi di altri seri e ponderosi temi pubblicando volumi come “Le uova dell’angelo”, “Le feste negate”, “L’indole naturale dei napoletani” e “Giochi storici napoletani”, si è preso la briga di condurre una ricerca estesa su questo personaggio veracemente napoletano e ormai leggendario, pubblicando “Il Pazzariello: contributo alla definizione di un mito” oggetto, proprio in questi giorni, di presentazione al pubblico. Per soli 15 Euro il lettore, sfogliando e leggendo le 127 pagine del libro percorrerà tutti i vicoli e le strade della città a partire da Vico Pazzariello per un viaggio che non è mai stato affrontato, fino a questo momento e fino a questo volume; infatti non sembra che esistano altre monografie sull’argomento tranne pochi e piccoli articoli disseminati sulla stampa periodica dal Cinquecento alla seconda metà del Novecento.

Ancora meno sono rintracciabili le foto del personaggio mentre di incisioni d’epoca se ne trovano ancora, sebbene piuttosto di rado. Dunque un vuoto storico-antropologico è stato colmato e il monito lanciato da Elio Varriale in “Mestieri e Mestieranti” alla voce “O pazziariello”edito nel non lontano 2003 è stato decisamente scongiurato, almeno nelle intenzioni di Paolo Izzo e nella sua fresca provocazione “sarebbe bello rivedere il Pazzariello per le strade” e, aggiungiamo noi, sarebbe altrettanto fantastico riascoltare le sue “sparate” dal sapore commerciale, e le notizie di cui era megafono vivente in missione per conto del popolo illetterato quanto si vuole, ma anche custode della tradizione, ovvero di quell’insieme di usi e costumi tipici di una terra viva e ricca di colori, suoni e profumi, e soprattutto di uomini che rimangono tenacemente attaccati alle radici stesse della cultura plurimillenaria maturata su di un fertile suolo. Il Varriale infatti scrive: “con il solito intervento della società dei consumi, oggi anche il pazziariello è stato mandato in soffitta. Inutile chiamarlo: egli ha già imboccato la strada che unitamente alle filastrocche, alle tiritère e alle allegre marcette, porta verso il nebuloso regno della dimenticanza, dell’abbandono e dell’oblio”.

Ebbene, in un’epoca di crisi non solo economica bensì di valori come quella in cui stiamo vivendo, lo studio di Paolo Izzo sembra rompere l’omertà che ha caratterizzato per troppo tempo la genesi, lo sviluppo e il declino di una figura bonaria e caricaturale, fra il murattiano e il borbonico, fra il banditore e il cantastorie, ma anche di una figura importante e punto di riferimento per quella cultura del vicolo e della piazza, autentici regni del possibile dove tutto poteva accadere e dove sciami di bambini accorrevano in un vero e proprio baccanale di urla, canti sfottò e scimmiottamenti. Uno sprazzo di luce è penetrato in quel “nebuloso regno della dimenticanza, dell’abbandono e dell’oblio” di cui parlava il Varriale ed è riuscito a illuminare quanto basta per recuperare le immagini, le voci e i suoni ovvero per non dimenticare.

In altre parole, e per essere ancora più chiari, come l’editore Izzo richiama i napoletani a raccolta in una delicata missione di recupero delle tradizioni con i suoi libri fondamentali per la ricostituzione di un tessuto culturale e antropologico e di una comune memoria, così lo scrittore Izzo, con il libro “Il Pazzariello” di cui volutamente non abbiamo scritto quasi nulla per non anticipare il gusto e il piacere della lettura, ha freddamente girato il dito nella piaga scavando fino all’origine di un mito e ridando finalmente lustro al singolare “maestro di musica – banditore” rappresentato da Totò nell’Oro di Napoli e in Totò le Mokò,  al “fattucchiaro” impersonato da Paolo Stoppa in Carosello napoletano, al Pulcinella banditore raffigurato nelle incisioni su rame ottocentesche di Secondo Bianchi, nel Pascalotto che suona il putipù nell’800 fino a giungere alle cartoline degli inizi del ‘900 e alle foto degli anni ’60 e ’70.
Di certo, oggi come oggi, far riecheggiare la voce “battagliò! fanfarrò! pupulaziò! aize ‘o bastò! Attenziò! E’ asciuto pazzo o padrò!” oppure “Currite! mo s’è aperta sta cantina” ed altre mille voci e grida dal profondo dei vicoli e dal centro delle piazze tornerebbe a far sorridere i napoletani afflitti da una classe politica fanfarona e incapace nonché da problemi ormai annosi; non solo ma forse lo stimolo “prufessò musica e avanti!” ridarebbe speranza e ottimismo a una umanità metropolitana ormai depressa e asfittica costretta a ritagliarsi un modesto spazio vitale tra rumore, caos, traffico e disordine.

Ecco il messaggio: il pazzariello è la forma di una sostanza che appartiene a una città indomita nonostante le tragedie che l’hanno afflitta e che continuano a colpirla, fortunata perchè stretta tra un mare limpido e un terreno fertile, vulcanica e piena di temperamento perché il Vesuvio, a stento trattenuto dal mago Virgilio e dal martire San Gennaro, le trasmette costantemente forza ed energie telluriche.
La provocazione è stata lanciata e la scommessa può essere vinta . Chi  raccoglierà l’invito di Paolo Izzo? Napoli avrà un suo nuovo Pazzariello trovando la forza di recuperare e ridare vita alle sue tradizioni, con il sorriso sul volto e artefice del suo rinascimento, oppure dovrà rinunciare per sempre ai suoi simboli caratteristici e innervati nelle profondità della sua stessa carne?


Fonte: http://www.napoli.com/sport/stamparticolo.php?articolo=32205

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