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Aurelio, dopo Verdi, semaforo rosso
di Mino Rossi (da: Roma del 10.06.2018)
Guardiola chiama Jorginho, Hysaj al di là della Manica, la Cina attrae Hamsik, Reina non c’è più, al Milan piace Callejon, il Barcellona tenta Koulibaly, Mertens non ha capito la fine della storia di Sarri e Albiol potrebbe andarsene.

Al centro del villaggio azzurro, De Laurentiis issa il totem di Carlo Ancelotti. Pacione, rassicurante, famoso. Per il momento, lontano. In Cina, in Canada, in Inghilterra. Al telefono, la sua voce.

Per attrarre Leno, per tentare Vrsaliko che sta bene a Madrid, per sentire Rui Patricio che soffre a Lisbona, per capire se Younes c’è o ci fa, per sapere che Vidal costa troppo, per prendere Badelj vecchio croato di centrocampo e il belga Praet dal solido centrocampo doriano e, magari, il piccolo Torreira, centrocampista di corsa, il corriere dei piccoli, per congratularsi con Simone Verdi e col presidente che ha scoperto Vinicius nella serie B portoghese.

Attorno al villaggio c’è movimento. La Juve straripa: prende Perin, riscatta Douglas Costa (40 milioni), incamera Emre Can e Spinazzola.

L’Inter ingaggia De Vrij e Asamoah. La Roma si assicura Cristante. Allegri, Spalletti e Di Francesco rimangono al loro posto per la continuità di un progetto.

A Napoli, brividi ed emozione al San Paolo come ai tempi di Maradona per una notte di stelle e di omaggio a Pino Daniele. Sul Napoli c’è un silenzio assenso.

Alto tasso di umidità a Castelvolturno. Preso Ancelotti, mancano i botti.

Il colpo di teatro di De Laurentiis risolve il dissidio con Sarri e stupisce la piazza che allibisce, azz Ancelotto, e non sa se gradire.

Il sopracciglio sinistro più alto d’Italia ha un curriculum da ministro degli esteri con residenze a Madrid, Londra, Parigi. Torna in Italia dopo nove anni, nel carnet dei ricordi i tonfi e i trionfi col Milan di Berlusconi.

Ha preparato alberi di Natale e servito rombi. Non resiste più di due anni nello stesso posto, quindici mesi a Monaco di Baviera. Non costruisce squadre, le allena.

Ha allenato la Juventus e ha detto: “La Juve era una squadra che non avevo mai amato e che probabilmente non amerò mai”. Questo basterebbe per conquistare i tifosi napoletani. Ma non basta.

C’è ancora qualcosa di indefinibile nella trovata di De Laurentiis che però ha sempre azzeccato gli allenatori. Ma gli allenatori non vincono. Vincono i giocatori.

Ancelotti ha vinto con squadre fortissime, le più forti d’Europa. Nel Napoli non avrà né Shevchenko, né Cristiano Ronaldo. Come farà a vincere col Napoli?

Vincere che cosa, poi? Lo scudetto che la Juve sembra avere prenotato per l’ottava volta? La Coppa Italia? La Champions non è cosa.

Che cosa ha spinto Ancelotti ad accettare Napoli? Questo non è ancora chiaro. È chiaro il gioco di De Laurentiis. Ha preso uno dei tecnici più vittoriosi al mondo, non quanto Mourinho (otto campionati vinti in Portogallo, Inghilterra, Spagna e Italia) e Guardiola (sette), ma subito alle loro spalle.

Il meglio in panchina per il dopo Sarri e per cancellare Sarri e per passare dalla grande bellezza alla grande praticità.

Accantonati possesso-palla, droni e titolarissimi. Rotazione della “rosa”, impegno in tutti i tornei, riempire la classifica e non gli occhi e, sul modulo, può essere anche giusto ma è poi sostenibile per una intera stagione?

Un allenatore elastico, duttile, di buon senso, buon padre di famiglia, faccione e vocione per dissolvere l’integralismo di Sarri naufragato in una notte d’albergo a Firenze.

Per ragioni e sentimenti che sfuggono, Ancelotti si presta alla sfida che i grandi tecnici hanno sempre evitato: vincere con una squadra media dopo avere primeggiato con gli squadroni.

Solo Trapattoni andò ad allenare il Cagliari resistendo 21 partite per poi dimettersi. Una cosa è certa. Ancelotti non se ne farà angosciare. Il Napoli, poi, non è una squadra media. Una squadra che fa 91 punti non è una squadra media.

Ma, forse, si rompe un incantesimo. Un po’ come è successo l’altra sera al San Paolo con le canzoni di Pino Daniele. Affidate ad altri, non sono state la stessa cosa.

E allora? Come sarà il rilancio? Come si passerà dal sogno allo scudetto? Perché questo è il passaggio obbligato. Altrimenti perché Ancelotti? Solo per spiazzare la piazza?

La campagna acquisti dirà la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. Paparapà zazà.

Aurelio, batti un colpo. Se uno si ferma a Verdi, semaforo rosso.
10/6/2018
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