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Amare riflessioni sul Napoli
di Mimmo Carratelli
Il tifoso, più di ogni altro il tifoso che paga il biglietto allo stadio o sottoscrive l’abbonamento, ha il diritto di criticare apertamente e ferocemente la sua squadra, il tecnico e la società quando le cose non vanno.

La passione lo spinge ad esagerare i toni e non potrebbe essere diversamente. Per troppo amore, si può “odiare”.

Questo atteggiamento è nella storia del Napoli, più che altrove forse, perché il tifoso napoletano vive una “passione esagerata”, la squadra di calcio finendo col diventare spesso l’unico motivo di ambizione e di orgoglio in una città variamente ferita.

Ma, poi, molti sogni finiscono nel cassetto, le delusioni si sommano, le vittorie scarseggiano e l’amarezza del tifoso, più volte ingannato, si sprigiona in giudizi secchi e definitivi.

Aggiungiamoci, giusto forse il carattere meridionale, le antipatie “a pelle” del tifoso napoletano nei confronti di giocatori, allenatori e presidenti, più spesso dettate dalla mancanza di simpatia e di comunicatività dei protagonisti prima ancora che dalle loro manchevolezze.

Tutto questo però non giustifica i giudizi di noi cosiddetti esperti del pallone che dobbiamo ragionare “a freddo” e non dimenticare quanto abbiamo detto e scritto “prima” e sostenuto in varie occasioni finendo col cambiare umore e riflessioni addirittura contraddicendoci. Sbagliamo in prima persona, ma la coerenza dovrebbe sempre fare testo.

Sin dal suo arrivo, Benitez ha spaccato gli opinionisti napoletani in ferventi sostenitori, grandi idealisti del pallone, e feroci oppositori, quanti sono rimasti distanti da lui non tanto perché il tecnico madrileno non facesse comunella, come furbescamente sono soliti fare quei tecnici che puntano al consenso familiarizzando con i giornalisti, ma a causa della sua “filosofia” di gioco.

Troppo pretenziosa, secondo gli oppositori, troppa finta grandeur in un campionato di astuzie tattiche e non solo, troppo integralista nel proporre, senza compromessi e correzioni di sorta, il suo modulo tattico e la sua idea di gioco.

Ci può stare, direbbe lo stesso Benitez. Identica feroce opposizione, non dettata solo dalla antipatia del personaggio, viene espressa nei confronti del presidente De Laurentiis che, nonostante i buoni risultati complessivi nei suoi undici anni di comando, ha il difetto grande di non avere risorse economiche, dettaglio che dovrebbe escluderlo dalla presidenza in un club di alte aspirazioni.

Di questi “pregiudizi”, non del tutto immaginari, si nutre l’ambiente calcio napoletano, più propenso e capace a distruggere che a costruire. Niente “spalla a spalla” come dice Rafa. È stato sempre così, non ce ne meravigliamo oggi.

Il campionato in corso è una delusione, si può dirlo senza mezzi termini. La società non è stata in grado di fornire a Benitez i giocatori necessari al suo gioco “europeo”, l’allenatore ha proseguito nella sua idea di gioco sorvolando sulle lacune della squadra. Il fallimento, benché non automatico, c’è stato.

A Torino, la Juventus festeggiava i suoi trionfi, il Napoli doveva giocare “a vincere” per l’ultima scalata-Champions. Questo il quadro.

La Juve (società, squadra, ambiente) ha il carattere, la tradizione, l’orgoglio per tenere sempre banco, esce dalle difficoltà, indovina le scelte per uscirne, ha un potenziale economico che le consente di primeggiare e sul campo non molla mai.

Non ha mollato contro il Napoli pur nel clima di festa di sabato sera e senza che la partita le imponesse di fare risultato. Non è nel dna della Juventus rinunciare a vincere anche quando non è “necessario”.

Secondo il giudizio più azzeccato, è stata una Juve “serena” a battere il Napoli, cioè una squadra senza angosce tattiche e tecniche, sicura anche nella rotazione del gruppo, compatta e con grande spirito di appartenenza.

Il Napoli, quest’anno, non ha mai avuto questa serenità. È successo anche in passato quando la squadra ha giocato sempre “in salita” per motivi vari, tecnici ed economici.

In più, il Napoli di Benitez non ha mai avuto, al di là della “spettacolarità” del gioco non sempre espressa, la forza d’animo, l’unità di intenti, la grinta e l’orgoglio per giocare da protagonista, difetto fondamentale che si divide a metà fra tecnico e giocatori.

A Torino è dunque salita una squadra incapace di esprimere quella forza e quella determinazione necessarie a giocarsi la partita. Il “crollo” di Higuain è solo l’esempio più clamoroso di un crollo “latente” di tutto il gruppo, mai veramente azzurro, nel senso che mai è stato adeguato alla passione di cui è oggetto.

Si può criticare ancora la formazione escogitata da Benitez per “sorprendere” la Juventus. È stato un tentativo, di fantasia, di maggiore velocità, di freschezza che non ha avuto la meglio contro la maggiore fisicità e la superiore tenuta della Juventus anche se priva di molti campioni titolari.

Però è difficile sostenere che Benitez dovesse cominciare con Hamsik da parte di chi ha sempre espresso pesanti giudizi sulle prestazioni di Marek. È difficile sostenere che Benitez abbia sbagliato formazione da parte di chi più volte, “sorvolando” su Hamsik, proponeva una soluzione con Mertens o Insigne al centro del terzetto dietro Higuain.

Non si vogliono fare le pulci a nessuno, ma non si può cambiare parere a seconda dei risultati. Benitez ha persino esautorato Higuain dopo il primo tempo penoso e risistemato la squadra con Gabbiadini punta, Hamsik nel suo ruolo consueto e gli esterni soliti, Callejon e Mertens.

Si era ancora sull’1-1. E il Napoli ha avuto le occasioni per andare in vantaggio.

Il Napoli è stato inferiore alla Juventus-bis, ma la squadra-fantasia di Benitez non ha avuto neanche la fortuna che spesso aiuta gli audaci (!). Una fortuna che il Napoli spesso e volentieri non merita per i suoi errori e le sue lacune.

I soliti errori difensivi, individuali e di reparto, macroscopici sui primi due gol bianconeri, e un Buffon in grande spolvero (7 in tutte le pagelle) che ha respinto le migliori conclusioni azzurre.

Così è nata la vittoria juventina oltre alla notevole differenza ad essere degni e orgogliosi della maglia sulla pelle, dell’appartenenza a una storia e a un percorso.

Poteva il Napoli con i suoi errori ricorrenti e l’assoluta mancanza di personalità fare risultato a Torino contro un avversario che di errori in difesa non ne fa e ha una struttura di squadra collaudatissima chiunque giochi?

Ci speravamo nonostante tutto, non è successo. Se, poi, il Napoli variamente “mosso” da Benitez non risponde alle sollecitazioni del tecnico la delusione e gli insuccessi sono inevitabili. Colpa di tutti, si capisce.

Ora tocca indovinare, con competenza e fortuna, come riprendere il percorso. Insistere però nel crucifige di Benitez (e della squadra prima di lui) è solo un esercizio “vendicativo” di quelli che l’avevano detto prima.

Agli stessi non è andato bene neanche Mazzarri che ha regalato, con tutta la sua antipatia e il “brutto” gioco, il miglior campionato dell’era De Laurentiis.

Conclusione estemporanea. Scegliamoci allenatore e squadra da avanspettacolo, gente simpaticona, tecnici e giocatori di mondo che sappiano venire a cena e farci le loro confidenze, magari accettando anche le nostre formazioni, e vivremo felici e contenti continuando a vincere poco e niente com’è nella nostra storia infelice e perciò ancora più appassionata. Ma, alla fine, abbastanza singolare e amara.

24/5/2015
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