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Rischio dissesto, non paghino i cittadini
di Vittorio Del Tufo (da: il Mattino del 9.03.2018)
ll sindaco De Magistris chiama la città alla mobilitazione dopo il no della Corte dei Conti al ricorso sul maxi-debito Cr8. E rivolge un appello a tutte le forze politiche - Cinquestelle in primis - per scongiurare un crac che significherebbe, per Napoli, il definitivo addio alle politiche sociali, alla qualità dei servizi, al pagamento degli stipendi, alla manutenzione delle strade e al funzionamento del trasporto pubblico.

Napoli, come Penelope, va alla guerra proprio nei giorni in cui è più alta la confusione sotto il cielo della politica nazionale. E mentre la penosissima situazione economica e finanziaria del Comune già si riverbera sulla vita di tutti i giorni: ci sono buche sulle strade di Napoli, tanto per dirne una, dalle quali tracimano prati fioriti.

Ha ragione De Magistris quando afferma che la decisione della Corte dei Conti rischia di far pagare alla città un prezzo altissimo per qualcosa di cui la città non ha colpa. Napoli "vede" il default per un debito del 1981, che non attiene a questa amministrazione e neppure alle precedenti, essendo stato contratto da una struttura commissariale.

È un'offesa al buonsenso, nonché una palese ingiustizia. Suonerebbe beffardo, d'altra parte, spingere la terza città d'Italia verso il default dopo averle concesso una chance - così come ad altre centinaia di Comuni nelle stesse condizioni - attraverso il cosiddetto decreto spalma debiti, che offre alle amministrazioni in predissesto la possibilità di ridisegnare i piani di rientro pagando i debiti (giusti o ingiusti che siano) nell'arco di 15-20 anni.

Napoli rischia davvero di andare a sbattere come Capitan Schettino contro gli scogli? Finora il senso di responsabilità della politica nazionale - che ha già teso a De Magistris una ciambella di salvataggio - ha scongiurato il peggio; immaginiamo che il governo tuttora in carica, in nome di quello stesso senso di responsabilità, si muova per evitare il definitivo tracollo delle finanze napoletane anche dopo la decisione delle sezioni riunite della Corte dei Conti, accollandosi una consistente parte del debito oggi in capo all'amministrazione.

Proprio perché la partita è tutta da giocare, e si regge su equilibri politici delicatissimi, è ora importante che il sindaco e la sua squadra facciano di tutto per rimuovere ogni ostacolo che rischi di compromettere il dialogo con il governo.

Ci permettiamo di suggerire a De Magistris di scegliere con cura le parole da dire e da non dire per evitare che la battaglia, sacrosanta, contro "il debito che viene dal passato" si trasformi nell'ennesima occasione di scontro politico.

Questo dovrebbe essere il momento del dialogo, non dei guantoni da boxe. Ancora ieri De Magistris ha evocato l'ombra di manine e manone che si sarebbero messe di traverso lungo il suo percorso rivoluzionario: "Forse qualcuno ci vuole far pagare perché abbiamo rotto il sistema, per la nostra trasparenza e perché siamo arrivati troppo in alto senza soldi e superando numerosi ostacoli".

Che senso ha agitare il mantra dei poteri forti, evocando nemici e vedendoli ovunque, ed esasperando i toni proprio adesso che l'importanza della posta in gioco richiederebbe polso fermo, nervi saldi e il massimo della coesione tra le forze politiche?

Bisogna anche dire che il piano di risanamento del Comune, la cui incapacità di "fare cassa" è ben nota, è stato rivisto più volte e ogni volta ha dato un bottino magrissimo. Basti pensare al buco nero in cui è precipitata l'Anm.

Anni e anni di piani industriali rimasti lettera morta, continui tagli e rubinetti a secco a fronte di un servizio che definire indecente è poco. E ieri l'ennesima crepa sul fronte del già dissestato trasporto pubblico con il benservito all'amministratore Ciro Maglione: l'immagine - devastante agli occhi della città - di un'azienda che brucia un manager dopo l'altro (ieri Ramaglia, oggi Maglione) e non riesce a trovare un assetto stabile nemmeno dopo la decisione di aderire al concordato preventivo che, di fatto, la pone sotto il controllo diretto del Tribunale.

Uno slalom che segnala una certa dose di avventurismo gestionale. Se le finanze della terza città d'Italia sono esangui al punto da mettere in ginocchio i servizi essenziali, dal trasporto pubblico al welfare, come i napoletani sperimentano ogni giorno sulla propria pelle, certo la colpa non è solo di un debito (ingiusto) che viene dall'oltretomba, né del destino cinico e baro.

È, anche, la conseguenza di numerosi errori di sottovaluzione nonché il frutto di un disastro che arriva da lontano: il flop delle riscossioni, la riorganizzazione ancora incompiuta delle società partecipate, i ritardi nella dismissione del patrimonio immobiliare sono tutte zavorre che pesano sui conti pubblici e, di conseguenza, sui servizi offerti ai cittadini.

"Le norme di tutto il mondo prevedono che vecchi o nuovi che siano, piaccia o non piaccia, i debiti non possono essere ignorati", ha affermato ieri l'ex assessore al bilancio del Comune di Napoli, Riccardo Realfonzo, in un'intervista al Corriere del Mezzogiorno.

Lo stesso Realfonzo, prima di dimettersi, nel 2011, cercò di convincere il sindaco che sarebbe stato meglio dichiarare subito il dissesto, proprio per evitare aumenti continui di tasse e tariffe, nonché la debacle di servizi pubblici essenziali.

È difficile, oggi, sfuggire alla sensazione che sia invece prevalsa, a Palazzo San Giacomo, la tentazione di campare alla giornata. O di trasferire il problema del debito, questo Moloch che divora ogni prospettiva di crescita e di sviluppo, alle amministrazioni (e alle generazioni) successive, magari nella speranza che sbuchi prima o poi da qualche cilindro Pantalone a tirare tutti fuori dai guai.

Così il Comune non solo non ha riconosciuto la massa debitoria inserendola in bilancio, ma ha perpetrato la pratica del rinvio ad esercizi successivi dei debiti fuori bilancio (in particolare quelli relativi al 2016).

E invece Pantalone-salvatutti non è arrivato e non arriverà.
Arriverà, probabilmente, il pragmatismo della politica a risolvere una situazione che s'è fatta per il Comune maledettamente complicata. E che rischia di produrre un effetto devastante, dal momento che la sanzione prevista per la bocciatura del bilancio è la decurtazione dei trasferimenti dallo Stato in uguale misura della somma non messa a bilancio.

È pertanto doveroso che a questa assunzione di responsabilità concorrano tutti, non solo le forze politiche che sostengono l'attuale governo ma anche quelle che contribuiranno a sostenere il prossimo. Perché il blocco delle casse comunali avrebbe per la città conseguenze ben più gravi del fallimento di un'esperienza amministrativa.
10/3/2018
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