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Approfondimenti
Il cuorno? È meglio se protegge la Tav
di Ernesto Mazzetti (da: il Mattino del 24.05.17)
È troppo ghiotto il tema del mega corno sul lungomare per tenermene lontano.
È vero, l’hanno già trattato colleghi e amici.

Chi come Raffaele Aragona, l’ingegnere che alle amate ricerche di letteratura potenziale alterna sdegnati interventi a difesa dell’estetica di Napoli, e che nel corno individua un motivo di «scuorno».

Chi come Vittorio Paliotti, che con l’erudizione che amabilmente dispensa ci ricorda per l’occasione come nacque il mito della jettatura.

E c'è chi, come Guido Donatone, sempre pronto a battaglie per l'ambiente, sebbene onusto, per sfortuna sua e nostra, soprattutto di sconfitte, s'appella ora al ministro Franceschini perché sventi la minaccia d'un lungomare «incornato» per mesi.

Il corno, si sa, è oggetto di cultura popolare. «Uocchie e maluocchie». Corni e cornicielli; non c'è famiglia ricca o povera che non ne possegga d'ogni misura e materiale, preferibilmente corallo, non disdegnando argento ed oro.

Capisci perciò come l'annunciata idea di erigerne uno di color rosso, alto 60 metri, lì, di fronte al mare colpisca un po' tutti. Alcuni (e mi colloco tra questi) esecrandola, nel rispetto del buon gusto e del panorama; molti, più o meno palesemente, accettandola. 

L'anno scorso fu un mezzo flop l'escogitazione della Italstage, la società che innalzò quell'affare di tubi metallici denominato N'Albero che, però, più che alla conifera natalizia somigliava a un «torsolo» di crocifera, volgarmente detto broccolo.

Stavolta punta ad un oggetto più coerente al colore locale, ipotizzando più proficui afflussi a ristoranti, bar e mercati che riempiranno la struttura.

Con rinnovata adesione del sindaco de Magistris e del di lui fratello Claudio, deputato alle iniziative.

Sagaci entrambi. L'importante è creare diversivi. Guai a restar prigionieri della triste quotidianità. D'una città ch'è tutta un cantiere che non trova mai fine; d'un bilancio comunale che continua a far acqua; di trasporti dall'andamento singhiozzante.

Divagare. Divagare sempre.
L'anno scorso De Magistris difese N'Albero sottolineando trattarsi di un'opera «per il popolo non per i vip».

Forse stavolta confida che il simbolo scaramantico gli assicuri più vaste adesioni: «non è vero ma ci credo».

È concetto che accomuna dotti ed incolti; nobili e plebei. Eppure, a voler rifletterci in profondità, astraendo per un istante da questioni di estetica, in questo megacorno potrebbe cogliersi una testimonianza della perenne condizione di debolezza e di precarietà di Napoli.

Una città e il suo popolo perennemente protesi a difendersi. Da qualcuno, da qualcosa, dall'avversa fortuna, da malevole intromissioni. 

Il ricordo d'un denso trattato che lo studioso di antropologia Gian Piero Jacobelli anni fa dedicò al tema: «La corna. Antroposemiotica della mano cornuta come offesa e come difesa», m'ha indotto ad interpellarlo sulla circostanza presente. Ricavandone l'opinione che «solo i napoletani sanno farsi male con tanta determinazione, così da proporsi sistematicamente come autentici capri espiatori».

Perché già il bisogno di difendersi denunzia fragilità; ma confidare che «la configurazione fallica del corno, alludendo alla potenza taurina possa difendere dal malocchio» è aspettativa vana.

Infatti è convinzione scientificamente professata da Jacobelli che «in realtà il corno non tanto al fallo si riferisce, quanto alla vagina, non tanto alla forza dell'uomo, quanto alla debolezza della donna. Tradizione vuole, infatti, che il corno sia cavo, come la cornucopia, la «corna» della capra che allattò Giove e ne venne benedetta»

Avvincente paradosso, che sconvolge radicate credenze.Mio malgrado, dubito che possa interferire più di tanto nel controverso disegno del sindaco e della società Italstage di piantare il loro corno sul lungomare. 

Ma, ammesso che davvero abbia poteri apotropaici, tale corno preferirei vedere collocato ad Afragola.

Lì, accanto alla stazione dell'alta velocità disegnata dalla Haidid, potrebbe forse porla al riparo delle tante avversità che vanno bersagliandola dopo l'inaugurazione: sottosuolo sospetto d'inquinamento, problemi di collegamenti, insidie tecniche e burocratiche.

Invece per Napoli mi piacerebbe veder esaltato non già il corno, simbolo di chi cerca difesa alla propria debolezza, ma un altro simbolo, propiziatore d'ogni fortuna.

Lo si invoca, ma per pudicizia si esita a nominarlo.
Mirabilmente lo rappresenta la Venere Callipigia esposta nel nostro Museo. Callipigia: che contempla compiaciuta il proprio «lato b».

24/6/2017
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