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Approfondimenti
Ricordo di fatti e luoghi remoti
di Vincenzo Cicala
L'origine della mia prima casa è lontana ma non remota.

Deve essere stata un avvenimento festeggiare la nuova strada, un lieto evento ed un buon avviso per i viandanti.

C'era stato un rinnovamento per il paese dopo la costruzione della reggia vanvitelliana di Caserta. E sulla scia di quello stile era stata edificata la Chiesa, mentre gli ingegneri ed i mastri muratori avevano incanalato le acque di scolo dei Camaldoli in una fogna formidabile, quasi una galleria sotterranea con una bocca ad arco della sezione ampia più di nove metri quadri, la volta poggiata su piè diritti di mattoni, cotti nella nuova fornace di Casoria.

E sopra vi avevano poggiata la strada, massi di basalto scalpellati uno ad uno ed incastrati in un mosaico che duecento anni dopo durava ancora compatto e solido. Venne fuori un rettilineo che aveva in prospetto la Chiesa e, a cinquanta metri, questo nuovo edificio.

Le case erano rade, tutto intorno fioriva la campagna, bella, fertile e gioiosa. I guai erano le malattie ricorrenti, stagionali e le epidemie periodiche, che mietevano morti e tracciavano lazzaretti.

Anche il mio paese aveva il suo e, di lì a qualche tempo, vi sarebbe stato costruito vicino il cimitero.

Quando le malattie erano lontane, l'aria era morbida, di festa e di pace, di una favola paesana, ove si sentivano l'ambiente e gli intrecci di Vardiello, contadino e facitore di poesia.

Io immagino contadine giovani, dal colorito roseo, che nei campi mietevano grano e coglievano frutta, dolce, piccola, magra ma saporita.

E poi gli stornelli, a dispetto, di domanda e risposta da un punto all'altro dei campi, per dichiararsi, per fissare un appuntamento malizioso sfuggendo alla guardia attenta dei genitori.

E sacerdoti rosei, tranquilli e ben pasciuti, accomodanti e rispettati, capaci di coniugare l'ufficio con la buona cucina, ma anche di accorrere al capezzale del moribondo dandogli pace, collocandolo nelle braccia di Dio, senza minimamente turbarlo con memorie sgradevoli, con asprezze e severità.

Un ordine religioso educava novizi in una villa di campagna. Conciliando Virgilio con la teologia senza leggervi alcun remoto dissidio, sulla faccia della villa avevano messo un versetto che ancora oggi si può leggere chiaro: "una cum pueris otia sancta colam".
In quegli anni il paese cambiava aspetto e si rinnovava, seguendo la spinta innovatrice dei figlio di Elisabetta Farnese, per così poco tempo sul trono del Regno di Napoli. La chiesa principale fu edificata in quel periodo.

Esisteva prima una cappella, sorta dalla pietà dei Tornincasa, (di cui poi un tardo epigono finì banditore del paese), e la gente del contado nei giorni di festa vi si raccoglieva.

Venivano verso il centro abitato dai casolari persi nelle campagne, ma, in effetti, non più lontano di un tiro di schioppo.

Non v'era altro riferimento se non l'ufficio delle gabelle, qualche negozio e per tutti la Chiesa, né municipio né uffici sanitari né sociali.

Le coltivazioni erano insediate nella parte sud-orientale della borgata, seguendo il corso del canale che scendeva dai Camaldoli e raccoglieva le acque di scolo di tutta la zona ad oriente dello spartiacque.

Quel canale era stato all'origine dei primi insediamenti. Esso, superato il maggiore declivio, scendeva dalle falde dei Camaldoli a Chiaiano, si incrociava con le propaggini della collina di Capodimonte e scendeva poi, toccando Miano, Marianella, Marano, Piscinola e Mugnano, fino ad arrivare a Melito ed inoltrarsi nella zona interna, andando a sfogare in quella piana malarica che fu denominata dei Regi Lagni dalla bonifica che il Borbone stesso vi realizzò.
21/4/2017
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