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La discontinuità è l'ultima carta
di Giulio Pane (da: la Repubblica Napoli del 24.05.2026)
La parabola discendente subìta dalla città di Napoli, dagli anni ‘90 ad oggi, in termini di vivibilità, servizi, efficienza amministrativa, vitalità produttiva, occupazione e capacità di riqualificazione e sviluppo ha prodotto alcuni buoni libri, molte riflessioni giornalistiche, numerosi convegni non privi di passione dialettica; in generale, un contributo di consapevolezza e di conoscenza non disprezzabile.

Ciò è avvenuto però sul piano delle coscienze individuali, e limitatamente a quanti già da decenni dedicavano la loro attenzione a tali problematiche.

Sullo sfondo, tuttavia, continuava a muoversi con attivismo vitalistico una particolare forma di quella capacità di adattamento, anche al peggio, che ha storicamente distinto la nostra società urbana, almeno da alcuni secoli.

Capacità preziosa, se si guarda all'esito di sopravvivenza che la caratterizza e la motiva, nefasta se si guarda all'esito di indifferenza e appiattimento etico che ne costituisce la conseguenza.

Si potrebbe dire, sfidando il paradosso, meglio una società che reagisce e in parte soccombe, che una che sopravvive comunque.

Ma questi sussulti di coscienza sono estranei alla società napoletana.

Al termine della parabola ci troviamo a votare in una condizione complessiva tra le peggiori: la crisi economica alimenta lo spirito di sopravvivenza e la crisi etica gli dà una mano.

E tuttavia, se al consueto lassismo che ha caratterizzato gli ultimi quindici anni volessimo dare una svolta, questo sarebbe il momento per agire - pur nel limitatissimo ambito del voto - secondo una logica di strategia, piuttosto che di adesione ideologica o, peggio, di conformistico adattamento.

Se i primi cinque anni della consiliatura de Magistris hanno prodotto guasti normativi e pericolosi scivoloni verso il qualunquismo di sinistra ed il ribellismo anarcoide, tanto cari a settori border line della società partenopea, non vi sono allo stato le premesse perché ciò possa venire corretto nel secondo quinquennio.

Anzi, le dichiarazioni rese dal sindaco uscente vanno ancor più nella stessa direzione, addirittura prefigurando una possibile avventura politica autonoma, che rischierebbe peraltro di privarci di cotanto contributo alla riqualificazione della vita urbana.

Anche chi lo sostiene dovrebbe perciò valutare l'eventualità di perdere a breve l'apporto della sua persona, che non ha mai avuto, né mai avrà per definizione ed eccesso di autoreferenzialità, un sostegno che vada oltre le motivazioni ispirate ai suddetti caratteri sociologici.

Sicché la nostra è divenuta ben presto una città di pentiti, tanto diffuso è stato lo scontento per i modi ed i fatti prodotti all'interno ed all'esterno da parte del titolare dell'amministrazione locale.

Ma con troppo grande, deplorevole ritardo, si è operata a sinistra una distinzione di posizioni rispetto al cosiddetto movimento arancione; la conseguenza è fotografata nelle percentuali di orientamento al prossimo voto da poco rese note.

Né è valso a nulla il sostegno che tardivamente alcuni esponenti politici hanno ritenuto di potere offrire dall'interno, placando le aspettative di equità e buona amministrazione con qualche iniziativa culturale.

Occorre invece, e necessariamente, che si produca una svolta, a vantaggio delle motivazioni profonde che inducono a distinguersi da procedure mistificatorie.

Essa non può prodursi in affinità, perché troppi sono gli errori compiuti ed in corso, per sperare in un ravvedimento o in un mutamento di prospettiva che giustifichi una prossimità di percorso.

Dunque dovrà prodursi in discontinuità, affinché sia possibile una riconfigurazione di posizioni politico-amministrative e di capacità organizzative del consenso, che possa favorire alla distanza un esito diverso.

Alle volte è necessario perdere, per trovare la forza e la capacità di vincere nuovamente. Per ora, non resta che sperare che i "pentiti" sappiano e vogliano, come detto, esercitare il voto secondo una logica di strategia, visto che in gioco c'è un'ulteriore caduta, verso una condizione sempre più grave di disordine, che allontanerebbe più ancora il momento della risalita.
29/5/2016
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