Contatta napoli.com con skype

L’arte antidoto al contagio della camorra
di Ernesto Mazzetti (da: il Mattino del 29.06.2015)
È cosa lodevole che a Casal di Principe ora si possa visitare una mostra che espone venti pregevoli opere prestate da musei di Firenze, Capua e Napoli.

Chi vive in Campania capisce al volo il perché ciò sia significativo; ma credo che lo capisca chiunque in Italia sappia qualcosa di luoghi e figuri della camorra. Perché Casale, nella geografia camorristica, costituisce un nodo importante. È patria di bande feroci, capaci di infiltrarsi nell’economia «normale» utilizzando proventi delle attività criminose.

Sono stati scritti trattati su ragioni antropologiche, economiche che nei decenni hanno determinato in questo, come in contigui paesi di quella che una volta si chiamava Terra di Lavoro, nascita ed espansione d’una criminalità perfino più potente della camorra del capoluogo.

Tema avvincente e sinistro; ma non su questo intendo soffermarmi. M’interessa la mostra inaugurata una settimana fa, collocata in un edificio che la giustizia sottrasse a camorristi. La quale mostra risponde ad un intento preciso: enunciare che lo Stato è rappresentato in una terra difficile non solo da poteri repressivi ma anche da suoi tesori d’arte, dalla sua cultura.

Casale ha ventimila e passa abitanti, la maggioranza dei quali sono persone perbene; anche se la minoranza meno perbene resta cospicua e offusca l’immagine generale col suo malaffare. Ritengo che la maggioranza sia molto compiaciuta che il governo abbia voluto far affluire opere pregevoli in questa cittadina che di monumentale ha poco e nessuna galleria d’arte.

Il messaggio è chiaro: educare al bello e alla cultura può e deve essere una terapia al contagio criminale. Molti giovani lo sperano, e confido che il futuro non riservi loro delusioni.

Nelle cronache dedicate all’inaugurazione della mostra si è letto d’illustri visite ufficiali e di discorsi che hanno enfatizza- to il rapporto tra il bello e la crescita civile, tra diffusione dell’arte e rinascita economica. Sillogismi illuministici; eppure incrinati da quesiti inquietanti.

Se a Casal di Principe la scoperta del bello potrà essere, forse, terapeutica, com’è che a pochi chilometri di distanza, dove i patrimoni d’arte sono incommensurabili quanto lo splendore dei paesaggi, tutta questa bellezza non sia riuscita e non riesca a diffondere nella popolazione che ne fruisce modi di vita improntati a decoro e civiltà?

Parlo di Napoli, ovviamente. Città dove il bello è di casa; da secoli, al punto che i napoletani, o almeno la gran parte, a questa grande bellezza hanno fatto talmente l’abitudine da disinteressarsene. Non indignandosi se tale disinteresse, o indifferenza o incapacità, è divenuto atteggiamento corrente da parte dei governi cittadini. Gli attuali, come quelli che li hanno preceduti.

Il Rinascimento di Napoli nel segno dell’arte e della cultura! Già. Fu lo slogan col quale ci illuse, e credo illuse se stesso, Antonio Bassolino sindaco nell’ultimo decennio del secolo. Puntò ad eventi nuovi, purtroppo effimeri. Non gli riuscì di gestire l’esistente, restaurandolo e recuperandolo: da Bagnoli al centro antico.

Ispira umana simpatia il personaggio; certamente di statura politica e propositiva superiore rispetto ai suoi successori. Sento d’un suo possibile ritorno in lizza nelle prossime elezioni comunali. Ammaestrato dalla propria esperienza e consapevole dell’inesperienza altrui, potrebbe essere una risorsa.

In una città dove sessanta antiche chiese sono abbandonate all’incuria e alle depredazioni, perfino la cinquecentesca Real Pontificia Basilica di San Giacomo degli Spagnoli è devastata da infiltrazioni e muffe.

È proprietà della Real Hermandad de Nobles Españoles de Santiago e dall’Ottocento è inglobata nell’omonimo edificio che fu ministero borbonico ed ora Municipio. Ma la contiguità non risveglia, da anni, l’interesse del sindaco e dei suoi uffici. Nonostante nell'abside alle spalle dell'altar maggiore si erga il mausoleo dedicato a don Pedro de Toledo marchese di Villafranca, decimo viceré di Napoli che tra il 1532 e il 1553 rinnovò la città, costruì un nuovo porto, l’arsenale e la strada che porta il suo nome.

Suppongo cosa si direbbero, potendo parlare, dai loro sepolcri che in San Giacomo si fronteggiano ai lati dell’abside, don Ferdinando Maiorca e la sua consorte doña Porzia Coniglia: «napoletanos perezosos y desagradecidos» (napoletani sfaticati e irriconoscenti)!

Quanto a don Pedro, immagino che il suo simulacro taccia per il disappunto: è troppo «enojado» (traduzione: incazzato!).
1/7/2015
RICERCA ARTICOLI