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Ma lo stupore
non guarisce il Mezzogiorno
di Nando Santonastaso (da: il Mattino del 19.04.2015)
È bello lo stupore di Matteo Renzi di fronte agli affreschi restaurati di Pompei. Bello perché spontaneo, in qualche modo anche ingenuo. Bello perché simile alla reazione dei milioni di visitatori che prima di lui hanno provato la stessa emozione.

Bello, ma in fondo anche sorprendente. Perché non te l’aspetteresti dal capo del governo, che deve custodire un bene patrimonio dell’umanità e che, però, prima di ieri a Pompei, per sua stessa ammissione, non aveva mai messo piede.

Intendiamoci, non sarà stata colpa di Renzi se da studente fiorentino non gli è mai stata offerta la possibilità di andarci in gita scolastica, come in genere succede. E non gli si può nemmeno rimproverare il fatto che prima di diventare premier non ci abbia mai pensato: capita.

Ma lo stupore, genuino, è indice di quanto le ricchezze del Sud - quelle culturali, soprattutto - finiscano spesso, troppo spesso, per essere una scoperta per la politica che pure di esse parla, straparla e polemizza a ogni piè sospinto, dentro e fuori i confini nazionali.

È come se certe potenzialità di sviluppo del Sud - e i beni culturali, come ha documentato tempo fa la Svimez, possono da soli creare qualcosa come 250mila nuovi posti di lavoro in quest’area - uscissero dal normale circuito della conoscenza e vi rientrassero solo in presenza di scandali, ritardi, inchieste della magistratura, querelle amministrative.
Allora sì che i riflettori dei media si sprecano, che i talk show si mobilitano, che il circo dell'informazione scende in campo ad ogni livello.

Pompei è lì, con i suoi enormi problemi di gestione, gli scioperi dei custodi, i tempi infiniti degli appalti dei restauri, le perplessità dell’Europa che un giorno sì e un altro pure minaccia di togliere all’Italia le decine di milioni di euro che ha deciso di investirvi.

Ma c’era anche prima che gli affreschi fossero restaurati: c’era con la sua straordinaria, incomparabile bellezza e con la speranza che qualcuno si accorgesse di quanto fosse necessario metterla al centro di un piano di sviluppo culturale del Paese, non solo del Mezzogiorno. Per puntare senza incertezze sulle sue enormi potenzialità, in gran parte ancora inesplorate.

Lo dimostra il fatto che il sito sembra attrarre più visitatori stranieri che italiani, forse spaventati dal rischio di trovare i cancelli chiusi per un’assemblea improvvisa del personale, o scoraggiati da luoghi comuni di una narrativa noir antimeridionale che attecchiscono per la verità più in patria che al di fuori di essa.

Pompei, che il premier scopre solo ieri, è la metafora di un Paese che ha perso contatto con il suo corpo, la cui classe dirigente vive in un centro verticale e mediatizzato, un luogo di parole, senza sangue e senza più memoria.

Eppure gli scavi sarebbero ancora una delle occasioni migliori per rilanciare il Pil, l'immagine e il prestigio internazionale del Paese, se solo si avesse il coraggio di far gareggiare il Mezzogiorno alla pari con le altre realtà che producono reddito e investimenti.

Pompei non può restare una meraviglia fine a se stessa, della quale compiacersi ogni volta che la si tocca da vicino.

Non basta sapere che c’è: al Sud storia, ambiente e cultura hanno concretamente bisogno di chi le aiuti ad uscire dall’anonimato o dalla semplice curiosità per diventare progetto industriale, fonte di ricchezza e di sviluppo.

Sarebbe auspicabile perciò che almeno lo stupore del premier fosse l’occasione per colmare questo suo e nostro vuoto: l’Italia di Renzi e della voglia di cambiamento, che inaugura altrove kermesse, scelga finalmente di ripartire anche da qui, dal Sud. Non solo a parole e a spot. Ma dimostrandolo con i fatti.

Scommettiamo che ci guadagnerebbe tutto il Paese?
19/4/2015
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